L'Atlante dei conflitti ignorati

Una mappatura delle crisi che l'attenzione mediatica tende a non porre sotto l'attenzione dei riflettori. Il Gironale.it ha realizzato un Atlante delle crisi globali, suddivise per continenti, e con una descrizione storico e politica delle ragioni di ogni singolo conflitto

L'Atlante dei conflitti ignorati

Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Nigeria, Ucraina: ecco i nomi dei paesi travolti dalle guerre di cui maggiormente si sente parlare. Motivi geopolitici, strategici e culturali, portano i riflettori a concentrarsi sulle zone appena nominate. Come in un moto di ciclicità, l'attenzione mediatica compie un anello di informazione centrifugo, un circuito d'interesse che porta ad avere notizie costanti su determinate questioni: l'Isis e i talebani, Al Qaeda e Boko Haram, la questione libica e le tensioni in Ucraina. Ma ovviamente se da un lato la concentrazione sale, dall'altro questa diminuisce, fino quasi ad arrivare a un parossismo d'oblio mediatico che porta a coniugare il termine ''guerre dimenticate''. Analizzando le due parole viene difficile capire come si possa dimenticare la propria contemporaneità, si scorda il passato non il presente, questo tutta al più lo si ignora. Ma ignorare una guerra significa anche ignorare chi la vive e la subisce e quindi per riequilibrare la bilancia delle notizie dei conflitti e delle tragedie, il Giornale.it ha deciso di realizzare una mappatura dei principali drammi che caratterizzano il nostro contingente, ma di cui solo in rare circostanze si ha la percezione che questi avvengano.

LE GUERRE IGNORATE

Africa

Marocco: nel Paese del nord Africa è in corso un conflitto a bassa intensità di cui poco si parla e localizzato in una regione dove i problemi legati allo jihadismo hanno adombrato le rivendicazioni ancestrali e le lotte politiche. Nel sud del Marocco prosegue la tensione tra l'esercito di Rabat e il Fronte Polisario della Repubblica Democratica Araba Saharawi. Una guerra iniziata con l'indipendenza del Marocco nel 56 e poi acuitasi nel 75,'76, quando gli spagnoli abbandonarono la regione meridionale del Paese e questa venne occupata dagli uomini di Hassan II. Da quel momento ha preso vita la guerriglia della popolazione locale che rivendica l'indipendenza dal Marocco. Il cessate il fuoco nella regione si è verificato nel '91 in cambio della promessa di un referendum sullo stato del Sahara Occidentale, che però non si è mai verificato. Oggi la popolazione Saharawi conta 170mila persone che dopo 23 anni non hanno ancora visto riconoscersi il lembo di deserto che rivendicano. Crisi economica, precarietà, disinteresse internazionale, fallimento delle politiche di riconciliazione, muri e campi minati che hanno provocato la morte di oltre 2500 cittadini, sono tutti fattori che oggi stanno facendo rinascere il Fronte Polisario. I guerriglieri hanno imbracciato di nuovo le armi dichiarandosi pronti a combattere per ottenere ciò che la politica e le trattative non gli hanno mai dato.

Mali: La guerra in Mali è tornata di recente sui grandi media dopo che il 20 novembre, un commando jihadista ha assaltato l'Hotel Radisson Blue a Bamako e ha fatto una strage uccidendo più di 20 persone. E' così ritornata sotto la luce dei riflettori una guerra dimenticata e in corso dal 2012. Nel Paese africano infatti, tre anni fa, nel nord, scoppiò un conflitto dovuto alla sollevazione di una milizia tuareg, l'MNLA ( Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad), che mirava alla creazione di uno stato tuareg nell'area settentrionale del Mali. I guerriglieri laici dopo soli tre mesi sono stati però sconfitti dai gruppi jihadisti ed estromessi dalla regione. E' così quindi che hanno preso sempre più piede le formazioni islamiste che hanno occupato l'intera porzione settentrionale del Mali. Nel 2013 una missione internazionale ha posto fine al controllo dell'area da parte dei gruppi legati alla jihad, ma non sono stati eradicati dal territorio e ancor oggi persiste la guerriglia delle formazioni affiliate ad al Qaeda e all'Isis. Nello specifico queste sono: Aqmi(Al Qaeda nel Maghreb Islamico), Al Mourabitoun, Mujao (Movimento per l'Onestà e la Jihad in Africa Occidentale), Ansar Dine e il Fronte di Liberazione della Macina.

Camerun/ Niger/ Ciad: Un 'unica guerra, identica, che coinvolge tre diverse nazioni: il conflitto che è in corso nei tre Paesi africani riguarda la lotta all'estremismo jihadista di Boko Haram. Per quel che concerne la Nigeria, dove la setta è nata, ha fatto proselitismo e compiuto stragi, non si può parlare di guerra dimenticata dal momento che le notizie che sopraggiungono dal Paese più popoloso d'Africa sono costanti e le azioni del gruppo monitorate. Diverso è invece lo scenario che si è venuto a creare negli stati limitrofi dove Boko Haram (che in lingua Hausa significa L'educazione occidentale è proibita), ha esportato il terrore. Stragi nei campi profughi collocati nell'area del Lago Ciad e incursioni nei villaggi di confine, ed è così che la formazione legata al Califfato ha provocato negli ultimi due anni 500 morti in Camerun, 100 in Ciad e 100 in Niger. I morti complessivi, della guerra del terrore avviata dal gruppo nigeriano tredici anni fa, sono oltre 17mila. Oggi a contrastare sul campo i guerriglieri islamisti c'è una coalizione internazionale costituita dalle truppe di Ciad, Camerun, Niger, Benin e Nigeria.

Sudan: Il Sudan è il Paese dei conflitti dimenticati per antonomasia. Il dittatore Omar al Bashir alla guida dello stato africano dal 1989, condannato dal tribunale dell'Aja per crimini di guerra e contro l'umanità, per nascondere al mondo ciò che sta avvenendo nel suo stato ha reso impossibile l'accesso a giornalisti e ong. In particolar modo l'ingresso è negato nelle tre aree dove sono in corso i conflitti tra le forze ribelli locali, supportate da una popolazione ormai allo stremo, e il governo centrale di Khartoum. Le regioni dove in Sudan si combatte sono il Darfur, i Monti Nuba e il Blue Nile. La prima, il Darfur, è falcidiata da un conflitto iniziato nel 2003, ribattezzato anche ''genocidio del Darfur''. A scontrarsi i janjaweed, i cosidetti demoni a cavallo, miliziani di origine araba e appartenenti a popolazioni nomadi sostenuti dal governo centrale, contro i gruppi etnici locali formati da popolazioni non arabe e dedite all'agricoltura. Il conflitto è stato dettato da una disparità di trattamento tra le popolazioni arabe e africane e dall' accentramento delle risorse da parte del governo centrale a scapito delle popolazioni che abitano le aree periferiche del Paese. In undici anni le stime parlano di oltre 300mila morti e 450mila sfollati.

Le altre regioni invece interessate dalla guerra sono i Monti Nuba e il Blue Nile, e le origini del conflitto in corso in queste zone sono da far risalire alle guerre civili sudanesi che hanno visto combattere, in due conflitti, il nord e il sud del Paese. Le ostilità tra Juba e Khartoum sono cessate nel 2005, nel 2011 il Sud Sudan è divenuto indipendente, ma le regioni dei Monti Nuba e del Blue Nile che hanno lottato a fianco dei separatisti del sud, dopo gli accordi, sono rimaste all'interno dei confini del Sudan. Ecco quindi che sono scoppiate di nuovo le ostilità tra l'esercito sudanese e i guerriglieri dell'SPLA-N (Soudan People Liberation Army North). Le due regioni vengono bombardate quotidianamente dall'aviazione governativa, la guerra ha coinvolto oltre 2milioni di persone e i profughi sono oltre 500mila.

Sud Sudan: Nel 2011, dopo 20 anni di guerra e 2 milioni di morti, il Sud Sudan diviene indipendente. Lo stato più giovane dell'Africa celebra l'indipendenza e la fine delle ostilità contro il nord del Paese governato da Omar al Bashir. Ma la pace nel neonato stato dura poco. Nel dicembre del 2013 scoppia infatti una nuova guerra civile che vede contrapporsi i soldati di etnia Dinka, legati al Presidente Salva Kii, contro le forze fedeli all'ex vicepresidente Machar di etnia Nuer. Il 15 agosto sono stati firmati gli accordi di pace, ma nonostante ciò le violenze proseguono in diverse aree del Sud Sudan e il governo di unità nazionale che era stato concordato nei patti non è stato ancora costituito. Le stime dicono che in Sud Sudan in due anni di scontri decine di migliaia di persone sono state uccise, due milioni di civili sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, 4,6 milioni di persone stanno affrontando una crisi alimentare e inoltre quello che è emerso da un rapporto dell'Unione Africana è che sia i ribelli che le forze governative hanno commesso crimini atroci: esecuzioni sommarie, stupri, mutilazioni torture e persino atti di cannibalismo.

Repubblica Centrafricana: Il Piccolo Stato d'Africa è salito alla ribalta delle cronache nel 2015 per essere stato il primo Paese in guerra, nella storia, ad aver accolto una visita pontificia. A novembre Papa Francesco si è recato a Bangui, ha aperto la Porta Santa e ha invitato i fedeli musulmani e cristiani e le autorità religiose a lavorare insieme per porre fine alle violenze e ricostruire la convivenza e la pace. In Centrafrica dal dicembre del 2012 è in corso un conflitto civile. La guerra è iniziata dopo che i ribelli a maggioranza islamica, appoggiati da mercenari del Ciad e del Sudan, hanno dato vita alla coalizione della Seleka. La ribellione in soli tre mesi ha preso il controllo della capitale Bangui ma l'avanzata degli insorti è coincisa con l'inizio delle persecuzioni nei confronti della popolazione cristiana e animista che si è quindi unita nelle formazioni Anti Balaka. Lo scontro, anche se gli analisti sostengono sia dovuto per il possesso delle risorse del sottosuolo, è degenerato quindi in una lotta confessionale. Nemmeno le missioni internazionali, la visita del Papa e l'indizione delle libere elezioni fissate per il 27 dicembre, ha portato a una cessazione delle ostilità. Il Centrafrica si trova oggi diviso in due. Nell'ovest comandano i gruppi legati agli Anti Balaka, nell'est i musulmani della Seleka. La guerra ha provocato oltre un milione di profughi e 5mila morti.

Somalia: Il Paese del Corno d'Africa dagli anni '90 ad oggi è in balia di una guerra infinita. La crisi somala ha avuto origine con la caduta di Siad Barre e l'ascesa dei War Lords. Terminata l'epoca dei signori della guerra, sul proscenio del conflitto somalo, sono apparse le Coorti Islamiche e poi i terroristi di Al Shabaab. Oggi, sebbene i ribelli jihadisti siano stati cacciati dalle principali città del Paese, il conflitto comunque perdura. Gli islamisti infatti controllano ancora porzioni della Somalia, soprattutto nell'entroterra, e la loro guerriglia che mira ad uccidere rappresentanti del governo, dell'Unione Africana, soldati dell'esercito somalo e giornalisti, continua a rivelarsi vincente. Sul terreno quindi quotidianamente si verificano scontri tra le formazioni qaediste e le truppe del contingente Amisom e intanto la popolazione é ridotta allo stremo. Da quando è scoppiato il conflitto si parla di oltre 500mila morti, un milione di rifugiati interni e un milione sono i cittadini che hanno abbandonato il Paese. Il nuovo governo, formatosi nel 2012, che doveva transitare la Somalia verso le libere elezioni del 2016, si è rivelato fallimentare. Le elezioni infatti non saranno a suffragio universale e i leader politici sono accusati di malversazione, corruzione e cattiva gestione degli aiuti umanitari.

Repubblica Democratica del Congo: L'ex Zaire è una terra di enormi ricchezze e pochissima stabilità. L'ultimo grande conflitto di cui si è sentito parlare è stato quello del 2012/2013 che ha visto confrontarsi i ribelli Tutsi dell'M23 in Nord Kivu contro le truppe delle FARDC. Ma sebbene quello scontro sia cessato, oggi nel territorio della RDC ci sono decine di gruppi guerriglieri. Una catalogazione effettuata dal Congo Research Group parla di 69 formazioni in armi, pronte a combattere per un pugno di terra. Le ragioni principali che stanno alla base di quest'universo ribelle sono da ricercarsi nella ricchezza del sottosuolo e quindi nel controllo di diamanti, oro e coltan. Ci sono anche formazioni con un'impostazione politica più marcate come le FDLR. Quest'ultimi sono legati alle milizie hutu che nel '94 diedero inizio al genocidio del Ruanda e oggi proseguono nella loro attività di destabilizzazione e guerriglia sfruttando le foreste congolesi come rifugio in cui pianificare le azioni. Nell'ultimo anno inoltre si sono verificati incidenti anche Kinshasa dovuti alla volontà del Presidente Kabila di candidarsi per il terzo mandato consecutivo, sebbene la costituzione lo impedisca.

Burundi: Un'escalation di violenza, un clima da guerra civile e prodromi di un possibile genocidio stanno caratterizzando il piccolo stato della regione dei Grandi Laghi. La storia recente del Burundi è puntellata da guerre etniche e massacri, ma è da aprile 2015 che la situazione è nuovamente precipitata, quando il presidente Nkurunziza ha annunciato infatti di volersi candidare per un terzo mandato violando così la Costituzione. L'opposizione formata da Hutu e da Tutsi, subito si è sollevata, ma le proteste sono state represse nel sangue. Il 21 luglio si sono svolte le elezioni e, com'era prevedibile, Nkurunziza ha vinto. L'opposizione si è armata e ha iniziato a diffondersi così il terrore nel Paese. La dimensione etnica all'inizio era sembrata secondaria, ora invece pare che la propaganda di Nkurunziza stia spostando il baricentro verso uno scontro etnico e si teme quindi che un nuovo orrore come quello avvenuto nel '94 in Ruanda possa perpetrarsi di nuovo.

America

Messico: Da oltre dieci anni nel paese centroamericano va in scena una guerra tra lo Stato e i cartelli della droga. Fosse comuni, studenti scomparsi, giornalisti uccisi più che in qualunque altro conflitto, questo è quanto sta avvenendo nella repubblica dell'America Latina. Anche le cifre sono discordanti sulle proporzioni della tragedia. Quelle maggiormente attendibili dicono che dalla ''dichiarazione di guerra al narcotraffico'', fatta dall'ex presidente Calderon il dicembre del 2006, sino al 2012, si sono registrati 80mila morti e 16mila desaparecidos. Dal 2012 agli inizi 2015 si contano altre 20mila vittime e 10 mila sparizioni. Quindi in Messico, il conflitto per la droga ha provocato oltre 100 mila morti e 26 mila persone non sono più state rinvenute.

Colombia: Tra le guerre dimenticate non può mancare quella tra le Farc e le truppe governative colombiane. Sulle Ande, tra le giungle della Colombia, sono ancora presenti le forze della guerriglia più longeva della storia. Però una svolta radicale per il futuro del Paese latino sembra essere stata raggiunta in questo 2015. Una tregua bilaterale è stata firmata dalle due parti in causa e gli accordi di pace che stanno andando in scena all'Avana sembrano raggiungere traguardi importanti. Le Farc, da forza militare dovrebbero convertirsi in gruppo politico e la speranza è quindi quella di poter eliminare nel 2016 la Colombia dai paesi di questo Atlante delle guerre ignorate. La guerra civile in Colombia è esplosa negli anni '60 e ha visto contrapporsi i rivoluzionari di ispirazione marxista ai militari governativi. Negli anni la guerriglia ha stretto però rapporti anche con il narcotraffico finanziando le proprie attività con la produzione e lo smercio di cocaina.

Europa

Nagorno Karabakh: E' una guerra dimenticata dagli uomini e dalla storia, quella tra Armenia e Azerbaijan combattuta per la regione contesa del Nagorno Karabah. Un conflitto quello caucasico che affonda le sue radici nell'epoca sovietica, quando l'imperialismo staliniano ridisegnò i confini del territorio dell'U.R.S.S senza considerare le divisioni etniche e religiose presenti. E' così infatti che nel dicembre del '91, gli armeni del Nagorno Karabakh votarono per l'indipendenza dall'Azerbaijan, ovviamente ignorata dal governo centrale. Subito dopo la dichiarazione d'indipendenza iniziarono gli scontri tra armeni e azeri. Diversi cessate il fuoco si sono succeduti dal '94 ad oggi e altrettante volte sono stati violati. Nel 2014 si è registrato un acuirsi degli scontri e sul fronte della guerra armeno azera si continua ancora adesso a combattere: tra camminamenti e trincee e scambiandosi colpi di mortaio.

Asia

India: E' un conflitto che non ha fine quello che sta andando in scena in Kashmir, la regione di frontiera tra Pakistan e India. Le ragioni affondano nella storia del periodo coloniale. Immediatamente dopo l'indipendenza infatti incominciarono a sorgere problemi tra le due nazioni. Gli accordi prevedevano la nascita di due stati, uno a maggioranza islamica e l'altro induista, ma la partizione su base religiosa, che diede vita appunto al Pakistan e all'India, non avvenne per quel che riguardò la piccola regione himalayana. Il sovrano locale, il Maharaja Hari Singh, decise infatti di annettere il Kashmir all'India. Immediata scoppiò quindi nel '49 la prima guerra tra due Paesi che si concluse con la divisione della regione in due parti una appartenente all'India e l'altra al Pakistan. Quest'ultimo però ha continuato a rivendicare anche il territorio vicino e così nel '65 è esploso il secondo conflitto, nel '99 le truppe di Islamabad hanno valicato la frontiera e hanno occupato Kargil, e infine è arrivata una tregua nel 2003. Ad ogni modo ancor oggi prosegue una situazione di guerra a bassa intensità. Nel 2014 un escalation di scontri ha fatto temere che la tregua del 2003 potesse franare, poi la situazione si è stabilizzata. Gli ultimi colpi di arma pesante che hanno echeggiato nelle gole himalayane risalgono all'agosto del 2015.

Birmania: La guerriglia che va in scena in Birmania è connaturata nella storia recente dello stato orientale, noto anche come Myanmar perchè così era stato ribattezzato dalla giunta militare nell'89. Per comprendere le ragioni del conflitto di oggi bisogna risalire al 1949 quando il Presidente Aung San, dopo l'indipendenza, firmò il ''Trattato di Planglong'',che consentiva ad ogni etnia di scegliere il proprio avvenire politico e sociale.

Ma con il golpe del generale Ne Win e la presa del potere da parte della giunta, l'accordo non è mai stato rispettato e la minoranza etnica dei Karen è stata perseguitata. E' iniziato così quindi il conflitto che a fasi alterne perdura ancor oggi e che vede contrapporsi i movimenti indipendentisti Karen contro il governo centrale.

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