Vincenzo Camporini, generale, politico, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (Iai), ed ex capo di stato maggiore della Difesa, è pronto a scommettere che la mobilitazione annunciata da Putin non cambierà le sorti del conflitto. Resta però lo spettro del nucleare: "È un’ipotesi improbabile ma non può essere esclusa al cento per cento".
Qual è il significato di questa mobilitazione?
"Rappresenta un duplice segnale. Da una parte Putin, in questo modo, lancia un messaggio all’Occidente: 'Faccio sul serio, smettetela di aiutare gli ucraini'. Dall’altra ci comunica indirettamente di essere ormai alla canna del gas, e che è disposto a fare tutto il possibile per uscire dal guaio in cui si è cacciato. Dal punto di vista operativo, però, non credo che la mobilitazione annunciata avrà grandi effetti".
Perché?
"Non basta prendere 300mila individui per migliorare la situazione sul campo. Bisogna equipaggiarli, vestirli, fornire loro munizioni, e se queste cose non ce le hanno difficilmente potranno dare un contributo positivo alle operazioni. Le ultime informazioni ci dicono che gli armamenti russi sono in calo. In più, sul piano tattico, certe cose non si possono improvvisare ma si apprendono in anni, se non in decenni. Detto questo, non credo che l’aumento degli effettivi potrà ribaltare la situazione, perlomeno nel breve termine. L’esercito russo da anni ha un problema disciplinare e di gerarchie che non è stato mai risolto e che fa si che anche una macchina sulla carta poderosa, poi non abbia una reale efficacia sul terreno".
Rappresenta però di fatto un’ulteriore escalation?
"Sì, siamo arrivati ad uno dei gradini più alti della scala della deterrenza. Putin ha deciso di salirlo, e questo è preoccupante".
Cosa può succedere?
"L’esercito ucraino non ha il fiato per una nuova offensiva, ma dall’altra parte è difficile che i russi riescano a riprendere le posizioni perse. Non hanno le forze né le risorse. Tra l’altro la mobilitazione annunciata da Putin va ad incidere anche su questo aspetto. Vengono tolti migliaia di lavoratori all’industria, che già non brilla per tecnologia e che è messa in difficoltà dalle sanzioni. Pare che Mosca stia comprando le munizioni dalla Corea del Nord. E questo è indice di seri problemi produttivi".
Poi c'è lo spettro del nucleare, rievocato nell’ultimo discorso alla nazione di Putin...
"Tutto è possibile. Però, usando un minimo di razionalità, si capisce che non è una soluzione logica. Se io ho un territorio che voglio occupare ed annettere al mio Paese, utilizzare un’arma che lo rende contaminato e invivibile per decenni non è la cosa più intelligente da fare. Quindi, direi che si tratta di un’ipotesi estremamente improbabile, ma non mi sento di escluderla al cento per cento".
C’è il rischio che il conflitto si allarghi e coinvolga i Paesi dell’Alleanza Atlantica?
"Se non ci sarà un utilizzo dell’arma atomica no. Al contrario, sì. In quest’ultimo caso, ogni previsione è superflua".
Come finirà questa guerra?
"Non esiste una soluzione militare. Solo che in questo caso il negoziato è molto difficile. Anzi, non può proprio partire, anche a causa dell’annuncio dei referendum nei territori filorussi. Un’iniziativa che non ha nessuna base giuridica, né controllo internazionale. Mi domando, ad esempio, chi sia titolato a votare in un territorio da cui sono scappati milioni di profughi.
Quindi cosa succederà nei prossimi mesi?
"Con l’arrivo dell’inverno le operazioni sul terreno rallenteranno e quindi non ci saranno particolari cambiamenti.
Entrambi gli eserciti ne approfitteranno per riorganizzarsi. Una vittoria sul campo dell’esercito ucraino, e cioè un ritorno ai confini del 2014, non rientra nelle possibilità. Il fronte si cristallizzerà e quello ucraino resterà un conflitto congelato ai confini dell'Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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