Ne valeva la pena?

Parlano gli addestratori italiani impegnati nella formazione dell'esercito afghano: "I nostri insegnamenti sono stati efficaci, qui mancavano le motivazioni".

Ne valeva la pena?

Due domande frullano nella testa di tutti noi: ne è valsa la pena mandare i nostri militari m in Afghanistan, viste le attuali conseguenze? E ancora: a che cosa è servito addestrare le Forze di Sicurezza afghane se poi, così velocemente, si sono arrese ai talebani? A rispondere i veterani della missione.

«Dovevamo partecipare - spiega il generale Luigi Chiapperini, comandante a Camp Arena a cavallo del 2012 - in quanto facciamo parte di una coalizione e i motivi alla base dell'intervento erano chiari a tutti. Il successo di costituire dal nulla forze di difesa e sicurezza locali è stato inficiato da alcune importanti carenze e il ritiro degli occidentali ha fatto mancare punti di riferimento». Il generale Marco Bertolini, ex comandante del Coi (oggi Covi), in Afghanistan nel 2003 e nel 2009, racconta: «Per i militari non si pone il problema, perché eseguono ciò che viene deciso da chi ci governa. Da un punto di vista generale ritengo ne sia valsa la pena perché siamo rimasti lì 20 anni e ci sono giovani che sono potuti crescere in un ambiente sicuro. Ma le guerre si vincono e si perdono, questa è una guerra persa». Sull'addestramento chiarisce: «L'8 settembre 1943 le forze armate italiane si sono sfaldate perché è venuto a mancare il governo al quale facevano riferimento. Così anche in Afghanistan».

Il generale Pasquale Preziosa, ex Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, in carica all'epoca dell'addestramento delle pilote afghane a Shindand, fa un'analisi puntuale: «Direi che ne è valsa la pena perché dopo l'11 settembre tutti i Paesi Nato hanno partecipato alla global war on terrorism dichiarata da Bush. Gli Usa conducevano la strategia. Purtroppo nel 2003 vollero impantanarsi in Iraq per una lotta alle armi di distruzione di massa. E il lavoro in Afghanistan non fu completato. I risultati disastrosi di oggi sono la conseguenza di una mancata coerenza strategica da parte degli Usa che oggi perdono l'Afghanistan, perderanno l'Iraq, ma soprattutto la global war on terrorism che va valutata oggi in termini di conseguenze». L'addestramento per lui è stato valido, «ma si sono arresi - tiene a dire - perché non c'era più il Paese di Karzai. Abbiamo perso di coerenza strategica».

Il generale Mauro Del Vecchio, uno dei primi a comandare il contingente e anche lui ex comandante Coi, spiega: «È valsa la pena nel momento in cui siamo andati, perché era diventata la centrale terroristica del mondo. In seguito ci siamo posti altri obiettivi: diritti delle donne e persone, democrazia. Abbiamo ottenuto dei buoni risultati». Sull'addestramento non ha dubbi: «Il nostro insegnamento è stato efficacissimo, ma creare dei soldati, dei combattenti è facile, è molto più difficile creare le motivazioni».

Il generale Giorgio Battisti, anche lui tra i primi comandanti del contingente, chiarisce: «Abbiamo avuto 53 caduti e 700 feriti, ma a mio parere a qualcosa è servito. Abbiamo dimostrato agli afghani un diverso modello di vita con maggior rispetto dei diritti umani. Per l'addestramento abbiamo sbagliato noi, cercando di applicare lo schema di un esercito occidentale a un Paese con delle tradizioni e una cultura diversa dove il richiamo etnico tribale è più forte del senso di nazione». Il generale Giuseppe Morabito, della Nato Defence college foundation spiega: «Questa operazione ha creato le condizioni per eliminare Bin Laden. Per tutto il resto è un mezzo fallimento.

Abbiamo perso 53 persone, ricordiamocelo». Quanto all'addestramento tiene a dire: «Abbiamo fatto bene dal punto di vista tattico, ma corruzione, pensiero e clan non li puoi addestrare. Hanno ceduto di botta. Qualche dubbio mi viene».

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