Marco Tarchi : "Il populismo non è sconfitto"

Il Professor Tarchi analizza il risultato delle presidenziali in Francia dove il populismo che sembrava inarrestabile ha dovuto fare i conti con la scelta "moderata" di Macron

Marco Tarchi : "Il populismo non è sconfitto"

Il populismo sembrava essere il fenomeno più rappresentativo della nostra epoca politica. La vittoria di Donald Trump e l'affermazione della Brexit parevano aver aperto la strada ad una serie di trionfi. Invece, sia in Olanda sia in Austria, ma soprattutto in Francia, la categoria della politica in questione si è arenata. Come mai? Lo abbiamo chiesto a Marco Tarchi, politologo e docente italiano, professore ordinario presso la Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri dell'Università di Firenze dove attualmente insegna Scienza Politica, Comunicazione politica e Teoria politica.

Professor Tarchi, l'avanzata del populismo sembrava inarrestabile. Macron è davvero l'argine definitivo all'affermazione dei sovranisti in occidente?

"Non lo penso affatto. E credo siano necessarie due precisazioni. Primo: la descrizione del populismo come una valanga destinata a travolgere ogni resistenza sul suo cammino, emersa in sede giornalistica dopo il successo di Trump, è sempre stata infondata, anche se è stata cavalcata dagli avversari di questa corrente politica, che se ne sono avvalsi per sollecitare una reazione di paura – 'distruggeranno l’Europa', 'cancelleranno l’euro provocando un caos monetario', 'apriranno la caccia agli immigrati' e così via – e poter far passare i pur consistenti progressi elettorali delle formazione populiste per sconfitte clamorose. Secondo: populismo e sovranismo, pur presentandosi a volte in connessione, non sono la stessa cosa. Nel secondo c’è una componente di statalismo in genere assente nel primo. E il connubio non sempre paga".

Quali sono stati gli errori di Marine Le Pen?

"È troppo presto per trarre conclusioni su questi punti: occorrono studi sui dati, non solo impressioni. Marine Le Pen ha puntato a conquistare contemporaneamente, su due terreni diversi, elettori sensibili ad argomenti più “di destra” (difesa dell’identità nazionale, maggior rigore nella tutela dell’ordine e della sicurezza) e più “di sinistra” (denuncia del capitalismo finanziario, delle delocalizzazioni, della disoccupazione). Evidentemente il mix proposto non ha convinto del tutto i destinatari. Ma è stato il “moderato” Fillon a renderle la vita difficile, schierandosi immediatamente con Macron, che fino a poche ore prima aveva fustigato come copia conforme di Hollande. Sia la linea Philippot sia quella Marion avevano le loro ragioni e la loro utilità: non se ne è però saputa trovare la sintesi. Quanto alle critiche alle esternazioni papali sulla necessità di non porre limiti all’accoglienza degli immigrati, dubito che abbiano avuto effetto su elettori disposti a votare la candidata frontista".

Nelle grandi città il sovranismo non passa. Eppure il terrorismo ha colpito i grandi centri. La "sicurezza" non paga più?

"Paga poco rispetto a linee di divisione più acute, come quella tra vincenti e perdenti di fronte agli effetti della globalizzazione: i primi vivono perlopiù nella Francia delle metropoli, i secondi nella Francia periferica. E fra i soddisfatti chi propugna un’alternativa al sistema vigente non può trovare consensi. Il populismo, come è noto, trova nella situazioni di crisi il suo humus".

Il momento che sta vivendo l'Europa sembra essere socialmente travagliato. Eppure in Olanda e in Francia, alla fine, ha vinto il moderatismo. Perchè?

"Si è troppo frettolosamente fatto d’ogni erba un fascio ascrivendo ad uno stesso fenomeno episodi piuttosto diversi. La Brexit è stata legata, oltre che al timore di vari “contagi” – crisi migratoria, perdita di sovranità - che potevano trovare un canale di diffusione nell’Unione europea, alla persistente diffidenza di molti inglesi nei confronti del continente. Trump ha sfruttato soprattutto la delusione di molti verso le incerte politiche di Obama. In Olanda e in Francia la proposta dei movimenti populisti ha valorizzato soprattutto i temi dell’immigrazione e della paventata islamizzazione: due fenomeni la cui gravità è destinata ad acuirsi nel prossimo futuro ma su cui la narrazione dei grandi strumenti di comunicazione ha fatto sin qui da argine, utilizzando con successo il ricatto psicologico della compassione e della commozione (gli immigrati rappresentati solo dal “piccolo Aylan”, dagli annegati, dalle madri incinte trasportate sui fragili barconi) contro il simmetrico ricatto della paura (dietro ogni immigrato un sospetto criminale o terrorista) spesso sbandierato dai populisti".

Il leader di "En Marche!" riuscirà ad adempiere alle richieste di Bruxelles e, contemporaneamente, a sanare la ferita tra la Francia periferica e quella urbanizzata?

"Lei mi chiede una previsione che sa di vaticinio, ma i politologi non sono chiromanti. Di certo, il neopresidente dovrà render conto delle sue molte (vaghe) promesse e dell’aulica prosa sciorinata in campagna elettorale, fatta di cuore, amore, solidarietà, speranze e futuri radiosi. Chi conosce la politica sa come vanno a finire, di solito, queste ubriacature di retorica: i risvegli portano spesso un gran mal di testa. E dallo stato di grazia alla disgrazia il passo è breve".

Cosa c'è da aspettarsi per le legislative francesi di giugno?

"I motivi di curiosità sono molti e si prestano più a domande che a risposte. Sapranno i Républicains riattivare la loro forte rete di insediamento territoriale – fatta di notabilato e clientelismo – superando lo choc del caso-Fillon? I socialisti riusciranno a non soccombere all’effetto di salita sul carro del vincitore che già da un paio di mesi ha gonfiato le vele di Macron? Mélenchon saprà tradurre il successo della brillante campagna di protesta in un solido gruppo parlamentare? E, soprattutto, come si comporterà Macron nella scelta delle candidature per sfruttare il prevedibile effetto-valanga della sua elezione?"

Quale futuro per il Front National e per il populismo francese?

"Stando a ciò che ha detto a caldo, Marine Le Pen vorrebbe travasarlo in un nuovo contenitore, ma il risultato poco brillante ottenuto non le renderà facile tradurre il progetto in pratica, perché troverà più di un’opposizione. Resta poi da capire chi sarebbe disposto a farle da alleato esterno: Dupont-Aignan senz’altro, ma pare che meno del 40% dei suoi elettori ne abbiano seguito la scelta, ed è un problema non da poco. È prevedibile una raffica di critiche alla conduzione della campagna da parte di chi vorrebbe spostare l’asse del partito, o dell’alleanza, più a destra, ma se i Républicains tenessero alle legislative, sarebbe una scelta pericolosa.

Marine ha più volte criticato Fini per le sue scelte, accusandolo di aver ceduto sui “fondamentali” e proclamando di preferire di essere sconfitta con le sue idee piuttosto che di vincere con le idee altrui, ma dà l’impressione di star annacquando progressivamente quelle idee. Per lei il periodo post-elettorale non sarà facile: dall’esito delle legislative dipenderà buona parte del suo futuro politico".

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