“Dentro sembrava di essere in trappola. Chi si faceva prendere dal panico continuava ad arrampicarsi e a ricadere indietro”. A raccontare i tragici momenti vissuti nel documentario L'Ultima ora - L'affondamento dell'Estonia, è Anneli Konrad, ballerina a bordo dell'Estonia, scampata per miracolo al naufragio della nave in cui morirono 852 persone. L’Estonia salpa da Tallin diretta a Stoccolma il 27 settembre 1994. La traversata è considerata un evento molto prestigioso per il paese del Baltico dato il momento storico: l’Estonia ha infatti ottenuto l’indipendenza da pochi anni, nel 1991, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Il viaggio in Svezia deve svolgersi nel miglior modo possibile, per dimostrare che il Paese è all’altezza dei vicini scandinavi.
Il naufragio
Verso sera le condizioni meteo non sono delle migliori, il mare è agitato e le onde sfiorano i 4 metri, rendendo la navigazione alquanto movimentata. Molti passeggeri si sono già ritirati in cabina a causa del dondolio insopportabile, mentre altri sono ancora al bar per un drink, per trascorrere in compagnia la nottata burrascosa. Ma all’una di notte la cosiddetta celata di prua, ovvero il portellone, cede sotto il peso delle violente onde, si stacca completamente e lascia entrare un’enorme quantità d’acqua nei garage. L’inondazione causa una brusca inclinazione della nave verso dritta, che porterà l'Estonia ad affondare in pochissimo tempo negli abissi marini.
I passeggeri che dormono vengono svegliati dall'intensità dell'impatto, mentre quelli svegli finiscono catapultati con violenza da una parte all’altra nave. Inizia a diffondersi il panico. I passeggeri si rendono immediatamente conto che la situazione è grave, e dai ponti inferiori si riversano verso le uscite, per assicurarsi una scialuppa e salvarsi. “Era come un film muto”, racconta Anneli. “Non sentivo nulla, ma vedevo tutto. Ero come ipnotizzata, poi ho visto una donna con una ferita in testa, ho pensato fosse morta, e una voce nella mia testa mi diceva di uscire subito. Restavo aggrappata e vedevo gli altri che non ce la facevano più a reggersi. Poi c’era altra gente in un angolo che aveva rinunciato a combattere. È stato traumatizzante”, conclude Anneli tra le lacrime.
All’1.20 del mattino viene dato l’allarme e due minuti più tardi il comandante lancia il primo dei tre Mayday. Dopo una serie di messaggi confusi, la prima nave a raggiungere il luogo del naufragio è la Mariella alle 2.12, seguita dalla Silja Europa, il cui comandante assume l’incarico di coordinare i soccorsi. La nave continua a inclinarsi e a imbarcare acqua. Il caos regna sovrano a bordo dell’Estonia. I testimoni raccontano scene raccapriccianti: alcune persone volano in acqua con le scialuppe, altre vengono trascinate all’interno della nave, diventata una trappola d’acqua, senza via di scampo. Gli elicotteri arrivano sul posto della tragedia intorno alle 3 del mattino per prestare soccorso ai superstiti, il cui recupero continua fino alle 9 del mattino.
Vengono salvati 138 passeggeri, ma uno di loro non ce la fa e muore in ospedale. Ma per i sopravvissuti alla sciagura la salvezza arriva dopo una serie di peripezie nelle gelide acque del Baltico, perché essendo molte scialuppe cadute in mare, alcuni di loro sono costretti a resistere fino all’arrivo dei soccorsi in balia delle spaventose onde. Il mare è un cimitero di vittime che galleggiano con il giubbotto di salvataggio ancora indosso. Dei passeggeri deceduti solo 94 vengono recuperati. Dei rimanenti 757 tra equipaggio e passeggeri, 650 probabilmente intrappolati nel relitto, non vennero mai rinvenuti.
Le cause dell’incidente
Le indagini per scoprire cosa causò il più grave naufragio in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale attribuirono la rottura del portellone di prua alla scarsa manutenzione della nave nei mesi precedenti la traversata. Gli inquirenti stabilirono che la responsabilità è da imputare a Finlandia, Svezia ed Estonia. Le autorità finlandesi avevano infatti assegnato all’Estonia la classe A1 di idoneità, eppure la prua evidentemente non possedeva quei requisiti. Svezia ed Estonia furono ritenute responsabili di negligenza nella manutenzione e revisione della nave. I superstiti raccontarono in seguito che a bordo riscontrarono diversi malfunzionamenti: porte sbarrate, giubbotti di salvataggio rotti ed equipaggio non addestrato correttamente a un’eventuale evacuazione della nave.
A settembre 2020, ovvero 26 anni dopo il disastroso naufragio, il caso venne però riaperto, dopo un’inchiesta condotta durante un documentario di Discovery Network. Come si legge su Agi.it, durante le riprese i documentaristi scoprirono uno squarcio di quattro metri nello scafo. La nuova scoperta confuterebbe le conclusioni investigative ufficiali, secondo le quali il portellone di prua si sarebbe aperto a causa di un malfunzionamento. A luglio di quest’anno le Autorità svedesi di Investigazione sugli incidenti hanno iniziato a revisionare nuovamente il relitto, per stabilire con certezza cosa accadde quella sciagurata notte del 28 settembre 1994.
Le teorie alternative
Parallelamente al rapporto ufficiale, negli anni presero piede una serie di teorie alternative su cosa fece affondare l'Estonia. In particolare la giornalista tedesca Jutta Rabe portò avanti una serie di indagini, sostenendo che lo squarcio trovato nello scafo del traghetto fu causato da un'esplosione e che la nave stesse trasportando materiale militare.
Tuttavia l'ipotesi di una bomba a bordo dell'Estonia venne esclusa dalla commissione investigativa, la quale appurò che pochi giorni prima del naufragio la nave aveva effettivamente trasportato materiale militare, ma di natura non esplosiva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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