da Siena
Con quella faccia un po' così e i baffetti che in tempi di crisi a qualche maligno avevano ricordato la maschera di Pappagone, per un quinquennio aveva incarnato il sogno della Siena pedatoria: dalla B alla A con qualche derby vinto con l'avversaria di sempre, la Fiorentina. Roba che i tifosi senesi avevano vagheggiato per generazioni. Poi, con un doppio colpo di teatro e un'ironia della sorte cui solo un napoletano purosangue come lui poteva essere oggetto, il duplice addio: prima all'A.C.Siena e poi alla vita. Dopo una lunga malattia, se n'è andato così in silenzio ieri mattina, il giorno dopo aver messo la sua firma di girata a favore dell'avvocato romano Giovanni Lombardi Stronati sulle azioni del Siena Calcio, l'ingegnere Paolo de Luca: amaro sigillo di un'appassionante sceneggiata calcistico-finanziaria durata per l'intero lustro della sua presidenza («lascio, non lascio»), ma divenuta realtà solo a cavallo di quest'inverno. Aveva 64 anni.
La notizia è rimbalzata subito nel mondo del calcio che conta. «Per la Robur resterà per sempre il Presidente di un sogno diventato realtà», recita il comunicato ufficiale della società, che ieri ha fatto giocare la squadra con il lutto al braccio nel vittorioso scontro-salvezza pomeridiano con la Reggina. Ma ad essere davvero in lutto sono città e tifoseria, che nonostante il divorzio non avevano smesso di pensare a de Luca come al «presidente» per antonomasia. Leggendario, del resto, l'amore-odio dei senesi verso la sua figura controversa, sempre sospesa tra salacia e bonomia. Accusato spesso di svendere e di non spendere, ma poi salutato prima di Siena-Parma, prima partita della nuova gestione, con striscioni affettuosi. Memorabili le sue presenze in panchina alternate a improvvise latitanze dalla tribuna d'onore. E proverbiali le battute in puro stile vesuviano, quanto certe sue durature stizze: come quella a lungo nutrita verso Rodrigo Taddei, l'ala «irriconoscente» desiderosa di passare alla Roma e per questo tenuta fuori rosa nonostante la classifica zoppicante. Quando, all'alba di calciopoli, dopo un clamoroso 0-3 casalingo con la Juve di Moggi, qualcuno gli fece notare che a Siena giocavano forse troppi juventini, lui rispose: «Sì, ma alla fine i soldi per gli stipendi li tiro fuori io».
Imprenditore del settore chimico e ambientale, era diventato azionista di maggioranza nel 2000-2001.
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