«Il Mossad ha avvelenato il capo di Hezbollah»

Per salvarlo hanno dovuto mandargli quindici specialisti da Teheran. Stavolta il Mossad ci è andato vicino. Stavolta la grande caccia al nemico numero uno sembrava conclusa. Il veleno era già stato inoculato e il segretario generale del gruppo libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, sembrava già in agonia. Ma i medici di Teheran hanno fatto il miracolo, rianimando il grande capo e sottraendolo alla morte.
L’intrigo internazionale, smentito dal Partito di Duio sciita e ignorato da Israele, è rivelato da Almalaf, un sito iracheno che racconta di averlo appreso da fonti diplomatiche libanesi. Tutto, secondo le gole profonde medio orientali, incomincia venerdì 10 ottobre quando il segretario generale di Hezbollah accusa i primi segni di malessere. Nelle ore successive le sue condizioni si deteriorano velocemente. Sabato è già allarme rosso. Le terapie appaiono inutili, le condizioni si aggravano e i sospetti di grave avvelenamento trovano piena conferma. I medici libanesi del Partito di Dio ammettono di aver a che fare con un aggressivo chimico di origine sconosciuta e di non conoscere l’antidoto. L’intervento degli amici iraniani è fulmineo. Un team di 15 medici selezionati dai servizi segreti s’imbarca su un aereo militare e vola a Beirut.
Alle 11 di domenica mattina sono già al capezzale del grande malato allestito in una delle cliniche segrete gestite dal movimento. Le prime diagnosi non inducono all’ottimismo. Il team sanitario teme di non aver i mezzi adatti per reagire all’aggressivo e propone di trasportare il paziente a Teheran. A quel punto, i collaboratori di Nasrallah e i responsabili dell’intelligence iraniana affrontano concretamente il problema successione. Mentre i medici tentano il miracolo, il Consiglio esecutivo del Partito di Dio si riunisce in seduta d’emergenza per identificare un possibile sostituto.
Lunedì mattina il paziente incomincia a reagire alle cure, ma a Teheran il quotidiano Khourshid ha già il nome dell’erede da sottoporre per l’obbligatoria approvazione alla Suprema Guida Ali Khamenei. «Hashem Safi al Din – scrive il quotidiano – è stato designato ad assumere il ruolo di Segretario generale nel caso i sionisti assassinassero Nasrallah». Secondo il quotidiano «la designazione rientra nell’ambito della guerra psicologica al nemico sionista e serve ad evitare un indebolimento della Resistenza in caso d’uccisione di un dirigente ». Notizia e spiegazione appaiono assolutamente estemporanee al momento della pubblicazione, ma assumono tutt’altra valenza alla luce delle rivelazioni di Almalaf.
L’attentato alla vita del segretario generale, otto mesi dopo l’eliminazione del comandante militare Imad Mughniye, rischia d’incrinare l’immagine efficienza dell’organizzazione e di mettere in serio imbarazzo i suoi capi. I dirigenti di Hezbollah preferiscono dunque smentire tutto. «È una bugia, completamente inventata» – dichiara il deputato del Partito di Dio Al Hajj Hassan, ma aggiunge una frase in cui molti leggono incertezza. «Anche se non lo vedo da una settimana - ammette Al Hajj – penso stia bene».
L’esistenza di un progetto del Mossad per l’eliminazione del capo di Hebollah è difficilmente negabile. La grande caccia, iniziata allo scoppio della guerra del 2006 ha ripreso nuovo vigore non appena è risultata certa la morte dei due militari fatti rapire da Nasrallah alla vigilia del conflitto. Del resto per gli israeliani non sarebbe la prima volta. Il Mossad ricorse al veleno già nel 1997 per tentare d’assassinare Khaled Meshaal, il leader di Hamas a quel tempo in esilio in Giordania.

Il caso creò uno scandalo internazionale e si concluse con la consegna dell’antidoto in cambio del rilascio di due agenti del Mossad catturati dai giordani. Le voci di un possibile riuscito avvelenamento del defunto presidente palestinese Yasser Arafat non sono invece mai state confermate da fonti mediche indipendenti.

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