Roma - La cena era stata convocata in suo onore, nella meravigliosa tenuta toscana della Sterpaia, a giugno dello scorso anno. E quella sera, a festeggiarlo, era accorso un meraviglioso parterre de roi, da Massimo Moratti a Paolo Crepet, da Philippe Daverio ai monaci zen, dall’artista neo-futurista Graziano Cecchini, a opinion leader come Gad Lerner, tutti convocati dal padrone di casa, Oliviero Toscani. Il creativo più famoso d’Italia aveva presentato l’ospite d’onore così: «Un uomo che può tornare a far bella l’Italia». E il critico Daverio, dopo una dotta dissertazione, lo aveva paragonato a Lorenzo de’ Medici, che «ha fatto grande l’Italia in Europa, per la seconda volta, dopo i fasti dell’impero romano». L’ospite d’onore era lui, Renato Soru.
E per un puro caso, fra gli invitati, era presente anche chi scrive. Se non era una incoronazione politica, di certo era la più grande apertura di credito ricevuta da un leader di centrosinistra nell’ultimo anno.
La testata che dedicò più spazio alle cronache della cena della Sterpaia, misteriosamente, fu Novella 2000. Forse perché molti giornali nazionali hanno la tendenza a considerare la Sardegna una provincia lontana, e molti hanno scoperto Soru solo ora, dopo la clamorosa intervista a l’Espresso in cui - venerdì - il governatore ha acceso le polveri della sua campagna elettorale. Non solo. Soru ha annunciato la sua seconda discesa in campo, con una dichiarazione di ingaggio che è un’Opa sulla politica nazionale: «Il mio avversario non conosce la regione. Sarà uno scontro Berlusconi-Soru per interposta persona». Corollario dell’annuncio: «I partiti sono club di capi e capetti», l’Ulivo è ancora un buon progetto, «se vinco dimostrerò che Berlusconi si può battere. Come Prodi ha fatto due volte».
Ma in realtà molti indizi - a partire da quella cena - avrebbero potuto far intuire che qualcosa si stava muovendo.
Che il governatore dell’isola avesse ambizioni nazionali lo dicevano in molti, ma la sua operazione di questi giorni è stato un piccolo capolavoro tattico, un modo per uscire dall’angolo partendo in contropiede e sottrarsi a una sconfitta certa. Solo l’estate scorsa, al pari di molti altri leader dell’Ulivo, Soru si trovava in grande difficoltà, preso in una lotta mortale con gli apparati del suo stesso partito. Alle primarie per eleggere Veltroni - poco prima - era stato costretto a candidarsi direttamente (caso unico) alla carica di segretario regionale. Una battaglia campale contro gli apparati del Pd, che da sempre lo detestano, nemmeno troppo cordialmente. Uno scontro perso clamorosamente, quando per batterlo si erano cementate le due anime del partito, gli ex dc e gli ex diessini, che avevano espresso il suo avversario: Antonello Cabras (in alcuni seggi, Cabras aveva più voti di quelli raccolti dal Pd alle elezioni!). La guerra di Soru aveva avuto un antefatto (non compreso) in primavera, e avrebbe un secondo atto (sottovalutato) ad agosto. L’antefatto: a ridosso dell’estate Soru aveva comprato l’Unità, dichiarando: «Voglio salvare il quotidiano fondato da Antonio Gramsci».
Tutte le interpretazioni «romanocentriche» lo avevano letto come un servizio scomodo, realizzato sotto la dettatura di Walter Veltroni. Invece, a partire da quel passo, Soru si era comprato delle fiches al tavolo della ribalta mediatica nazionale.
Testardo, coraggioso, capace di sorprendenti scelte controcorrente, Soru aveva fatto parlare di sé nel pieno dell’emergenza rifiuti, quando (unico nel centrosinistra) aveva accettato di portare nella sua regione le navi cariche di monnezza napoletana. Aveva pagato un immediato costo di immagine, ritrovandosi una guerriglia notturna sotto casa, per protesta contro quella scelta. In agosto tutto precipitava. L’ala anti-soriana del Pd faceva una mossa a sorpresa per farlo secco: «Per scegliere il candidato alla presidenza della Regione servono le primarie». Era un modo per replicare la vittoria realizzata sulla segreteria regionale. Soru aveva risposto con una battuta: «Non ho nulla contro le primarie. Ma trovo curioso che si facciano nell’unico caso in cui il candidato c’è già!».
Date le forze in campo, avrebbe probabilmente perso. In piena estate Cabras fa un’altra mossa a sorpresa, per accelerare: «Se non si fanno le primarie mi dimetto». Forza la mano, lo fa, ed è di nuovo la guerra. Solo per Soru Veltroni fece quello che non aveva fatto, ad esempio, per Sergio Chiamparino (anche lui sotto assedio dei notabili locali). Il leader del Pd, in pieno agosto, manda un suo proconsole, il senatore Giorgio Tonini, a dire: «Il candidato c’è già, ed è Soru». Per tre giorni i dirigenti sardi si chiudono in conclave. Alla fine, con l’appoggio di Roma, vince il governatore, che fa eleggere una donna, giovane, a lui molto vicina: Francesca Barracciu. Sembrava che Veltroni avesse salvato Soru, in realtà era Soru che al contrario di Veltroni stava cambiando marcia. Il colpo di coda di Cabras e dei suoi avviene in consiglio regionale, a dicembre. Per accoltellare il governatore, lo affondano su uno dei suoi cavalli di battaglia, la legge sull’urbanistica. E qui Soru si inventa «la mossa del cavallo».
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