Per iniziare con una critica, come di solito si confà a un articolo dedicato a una mostra, Pittura italiana oggi, allestita negli spazi della Triennale di Milano, a prima vista dà come l'impressione di essere una donna di Botero. Troppa. Troppi quadri, troppo diversi, troppo piccoli o troppo grandi. È già difficile trovare 119 lavori interessanti dipinti tra il 2020 e il 2023, figurarsi poi se gli autori devono essere nati tra il 1960 e il 2000. Il risultato è un po' straniante, o almeno sfidante, se non per un mercante d'arte, almeno per chi è abituato a cercare artigianalmente lo spartito che si nasconde dietro ai quadri di un'esposizione. E però è possibile che ci sia del bello nell'aver dato in pasto libero e in uno spazio di tale pregio anche l'altalenante produzione di artisti che non avevano luoghi in cui entrare in dialogo col mondo che conta.
La mostra è allestita da Italo Rota con tenerezza, devozione alla luce e alle dimensioni debordanti delle tele, nelle quali in alcuni casi allo spettatore sembra quasi di entrare dentro e perdersi, in un paesaggio verde con una casetta o in un gruppo di persone che si stringono forte e che sembra quasi un messaggio di salvezza dopo la tragedia. Non possiamo dimenticare che dal 2020 al 2023 abbiamo vissuto la pandemia e la sua fine, l'imporsi del dibattito sull'Intelligenza artificiale e sull'autoritarismo della scienza, oltre che più banalmente la paura di non farcela, di morire o di diventare altro, più cattivi o più estranei, diversi in senso peggiore. Ecco, questo (o il tentativo di fuga da questo) traspare in modo artisticamente non sempre convincente, ma toccante.
Il pensiero del titolo è che un'istituzione come la Triennale, connaturalmente global, si riscopra patriottica. Gli autori delle opere sono italiani (naturalmente anche acquisiti), un richiamo al Paese in senso più stretto, ma anche all'antico e alle origini che si vede già dalle prime parole del presidente, Stefano Boeri, che cita il legame tra architettura e pittura presente già dalla Triennale 1933, quando è stato creato il Palazzo dell'Arte, con i lavori di Sironi, Carrà, Campigli, Funi, de Chirico, Severini.
Non possiamo sapere se nello sterminato elenco di pittori esposti (e fotografati nel catalogo Electa) ci saranno futuri capisaldi della storia dell'arte, certo l'ecologia impedisce alle nuove opere di rimanere incollate alle pareti (sono tutte green, senza cornici e senza colle). Vale però la pena di fermarsi davanti a opere diverse tra loro come Furore di Francesca Banchelli, Divertissement Estival di Lorenza Boisi, Buon vento di Guglielmo Castelli, o ai lavori di Valentina D'Amaro, Enzo Chiara, Pietro Moretti, Maria Morganti, Francis Offman, Jem Perucchini, Alessandro Pessoli, Aronne Pleuteri, Nazzarena Maramotti, Pietro Roccasalva, o tanti altri che suggerirà l'istinto.
Ciò che è stato notato anche dal curatore, Damiano Gullì, è «un ritorno dell'attenzione ai corpi e alla sacralità, sia pur declinata in modo più personale e legata alla natura, meno antropocentrica». Può essere un percorso.
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