Mumbai, negli hotel si spara ancora Terroristi sotto assedio

SANGUE L’esercito combatte piano dopo piano per liberare gli occidentali barricati nelle loro stanze

Tra le stanze del Taj Mahal in fiamme si contano i morti. Tra le scalinate dell’Oberoi si combatte l’ultima battaglia, quella più crudele e più sanguinosa. Si spara nella notte, si lotta tra mucchi di cadaveri e laghi di sangue, mentre le forze speciali indiane lottano per raggiungere quell’ultimo dannato piano dove i terroristi resistono rintanati con gli ostaggi.
È la battaglia dell’Oberoi l’ultima di queste 48 ore di sangue stragi. Ieri sera mentre le forze speciali combattevano piano per piano, affrontando le granate dei terroristi asserragliati sotto il tetto del grattacielo le cifre erano da tregenda. Ma anche quei 125 morti accertati e quei 315 feriti di cui parlavano ieri sera le fonti dei servizi di sicurezza indiani sono tutt’altro che definitive. Chi esce vivo dalle nubi di fumo, chi sopravvive alle esplosioni dell’Oberoi continua a riferire racconti da macelleria. E lì dentro ci sono ancora molti ostaggi. Nell’ultimo blitz delle teste di cuoio indiane sono stati portati in salvo altri 39 ostaggi che si erano asserragliati nelle loro stanze. Altri cento fra stranieri e personale dell’albergo sarebbero ancora nell’hotel. Tra quei cento si contano almeno sette italiani tra cui una bimba di pochi mesi e sua madre.
Di alcuni si conoscono i nomi: Angelica Bucalossi, di Firenze, il suo compagno Fulvio Tesoro, di Roma, Arnaldo Sbarretti, direttore dell’hotel Galles di Milano, Patrizio Amore e Carmela Zappalà.
Dopo ore e ore di assalti tormentati seguiti da esplosioni e sparatorie praticamente ininterrotte le forze di sicurezza annunciano di aver ucciso anche l’ultimo degli assalitori liberando 400 ostaggi. Tre i terroristi arrestati, uno è pachistano. Anche questa vittoria, però, è costata cara. «I militari mi tenevano la testa bassa, mi dicevano di non guardare a terra, di non fissare i cadaveri, attorno a me c’erano pile di corpi, laghi di sangue, resti umani dilaniati, è stato terribile non so neanche quanti fossero», ha raccontato Dipak Dutta poco dopo esser stato portato in salvo. Il vero macello si sarebbe consumato nelle cucine: cuochi e inservienti sarebbero stati massacrati dai terroristi. E nella hall dell’hotel i terroristi prima di soccombere avrebbero lanciato granate tra gli ostaggi sdraiati sul pavimento. «Avevano kalashnikov e borse piene di granate, volevano la strage», ripete il generale K. Hooda responsabile della liberazione degli ostaggi.
Nonostante il numero dei terroristi e il loro armamento è difficile però non notare l’approssimazione e l’impreparazione delle forze di sicurezza. I primi attacchi sono stati lanciati senza conoscere esattamente la posizione dei terroristi e si sono trasformati in battaglie prolungate costate la vita a decine di ostaggi e a molti uomini delle forze di sicurezza. Secondo Rana Tata, amministratore del Taj Mahal l’attacco era però ben preparato e i militanti conoscevano a menadito i corridoi e le sale del suo albergo.

«Si sono mossi con precisione nei corridoi dietro gli uffici e tra le cucine – spiega in una conferenza stampa - l’assalto era stato preparato con cura». Resta completa l’incertezza invece sulla sorte degli otto ostaggi del centro ebraico Chabad.

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