"Con la musica popolare canto la società brasiliana"

È uno dei massimi interpreti della «Mpb»e si esibirà a Milano e Perugia: "Guardo al futuro, non al passato"

"Con la musica popolare canto la società brasiliana"
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Djavan Caetano Viana, in arte Djavan, uno dei massimi interpreti mondiali della MPB (Musica popolare Brasiliana) torna in Italia con il suo D-Tour, la tournèe di lancio del suo ultimo album intitolato, appunto D. Cantante e chitarrista autodidatta, promessa mancata del futbol, vincitore di 4 Latin Grammy Awards, ha avuto il merito, rispetto ai big della sua generazione (da Caetano Veloso a Chico Buarque a Gilberto Gil), di affermare la sua musica a livello internazionale anche nel mondo del soul-jazz e nel funky, ispirando con le sue canzoni anche star americane come Al Jarreau, Stevie Wonder e Manhattan Transfer.

Djavan è anche uno dei pochi big brasiliani che non rinuncia a periodiche tappe concertistiche italiane: il 19 luglio sarà sul palco degli Arcimboldi di Milano e il 21 all’Arena di Perugia nell’ambito del festival Umbria Jazz.

«La ragione è che amo l’Italia, è un Paese in cui se potessi tornerei sempre perché adoro tutto, l’architettura, il cibo, l’atmosfera della gente. Cerco di venire nel vostro Paese almeno ogni due anni, ma ultimamente mancavo da un po’ dalle scene italiane e dunque sarà un momento meraviglioso per me e per il pubblico, sperando ovviamente che lo show vada bene...».

Nel panorama della MPB, lei ha inventato uno stile unico che lo ha avvicinato molto al funky e alla fusion. Artisticamente, si sente più un cittadino del mondo che un brasiliano? Almeno per quelli che sono i nostri stereotipi...

«Ho sempre fatto musica solo per la gente e ho sempre preferito guardare al futuro anziché al passato; al mio passato. Diciamo che è un tipo di considerazioni che non faccio mai quando compongo un brano o un disco. Posso dire che la mia è una musica che nei testi guarda alle diversità, mentre stilisticamente ci sono ovviamente molti riferimenti al Brasile (in particolare al nordest brasiliano) ma anche ad altre tradizioni, come il flamenco o la musica afroamericana».

Nei concerti del tour, che conteranno su una band di eccezione di sette elementi, porterà canzoni dall’album «D», ma anche i suoi grandi classici?

«Certamente, cavalli di battaglia cari al pubblico come Se, Meu Bem Querer, Samurai o Pétala non possono mai mancare».

Ha intitolato uno dei suoi ultimi anni al «Vesuvio», che ultimamente sta dando qualche problemino, come mai?

«Il Vesuvio è forse il vulcano Nei testi penso alle diversità, nella musica cerco riferimenti ai suoni del Nord Est del mio Paese o al flamenco Nei miei concerti ci saranno i miei cavalli di battaglia come “Meu” “Bem Querer”, “Samurai” o “Pétala” Ho dedicato una canzone dell’album al Vesuvio, che è il vulcano più famoso del mondo, il più... glamour più famoso del mondo, il più glamour, se si può usare un termine del genere per un vulcano. Vesuvio è anche il nome di una canzone che fa parte dell’album, è una forza latente e fluida ed esplora anche diversi elementi della natura».

Dagli anni '80 ad oggi ha scritto canzoni memorabili, come «Oceano», «Flor de Lis», «Sina» e molte altre. Ce n’è una a cui è più legato affettivamente?

«No. Non ho la preferenza per una sola canzone. Sto sempre pensando alla prossima che scriverò».

Una di queste, Alagoas, parla del suo paese d’origine, Maceio, una piccola città del nordest del Brasile. Qual è il suo rapporto con le radici?

«Sono nato e cresciuto lì prima di trasferirmi a Rio de Janeiro. Amo la mia città natale e non è un caso che proprio a Maceio abbia registrato il primo concerto del D Tour, il cui video andrà in streaming a breve. È la prima volta che inizio un tour da Maceió, e devo dire che è stata una notte molto speciale...».

Lula, Bolsonaro e poi ancora Lula. In Brasile i presidenti cambiano ma i principali problemi sociali, e in particolare il crimine, sembrano peggiorare anziché migliorare. Voi artisti come rispondete?

«Il mio attuale tour è uno spettacolo interamente dedicato ai problemi sociali delle minoranze. L’apertura dello show presenta un manifesto di Sonia Guajajara, attivista e ministra dei Popoli indigeni del Brasile, e tutte le opere che compongono la scenografia sono state realizzate da indigeni e da artisti urbani. E poi ci sono i problemi dell’ambiente: in Brasile abbiamo sperimentato una terribile catastrofe climatica e anche sui problemi del pianeta gli artisti hanno l’opportunità di far sentire la propria voce e forse influire sulle scelte politiche».

Lei, come molti brasiliani, proviene da una famiglia di umili origini; la musica l’ha salvata dalla strada?

«La musica mi ha dato tutto quello che ho oggi, tutto ciò che sono diventato».

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