
Non c’è ancora la memoria del governo sul caso Almasri, il 47enne comandante libico di cui la Corte penale internazionale ha chiesto la cattura e che l’Italia si è lasciata sfuggire per un errore dei giudici sulla convalida del suo fermo. Secondo le indiscrezioni dell’Ansa, Palazzo Chigi avrebbe chiesto tempo fino al 6 maggio per illustrare ai giudici dell’Aja la propria memoria difensiva sulla mancata consegna del generale libico Njeem Osama al-Masri, criminale di guerra accusato di omicidi, violenze e torture e condannato dalla Cpi all’ergastolo, sulla mancata perquisizione e sul mancato sequestro di materiali in suo possesso. Sulla premier Giorgia Meloni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Autorità di sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, i ministri della Giustizia e dell’Interno Carlo Nordio e Matteo Piantedosi indaga la Procura di Roma, che ha chiesto al Tribunale dei ministri di valutare i presunti reati di favoreggiamento e peculato dopo l’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, dipietrista già sottosegretario alla Giustizia ai tempi dei governi di Romano Prodi,
Secondo la ricostruzione ufficiale, il capo della famigerata polizia giudiziaria di Tripoli e della Radaa (l’esercito salafita di deterrenza speciale) sarebbe stato arrestato dalla Digos di Torino nella notte tra il 18 e il 19 gennaio su ordine dell’Interpol arrivato qualche ora prima. Nei dieci giorni precedenti il generale (partito per Londra via Roma da Tripoli) era a spasso per l’Europa - non sapeva di essere ricercato - ma il mandato di cattura è scattato subito dopo il suo arrivo in Piemonte per vedere Juve-Milan. Dopo essere stato scarcerato dalla Corte d’Appello che ha ritenuto irrituale il suo arresto, Almasri è stato espulso e rimpatriato con un Falcon 900 italiano, partito martedì 21 gennaio alle 11:15 da Ciampino, atterrato alle 12:15 a Torino Caselle, ripartito alle 19.50 per l’aeroporto di Mitiga, dove è sbarcato alle 21:42, accolto dai miliziani che avevano minacciato ritorsioni contro l’Italia, i nostri stabilimenti in Libia e le maestranze se Almasri fosse stato consegnato all’Aja.
A giorni il Tribunale dei ministri dovrebbe chiudere le indagini. Due le possibilità: chiedere l’archiviazione oppure inviare il fascicolo in procura per chiedere al Parlamento l’autorizzazione a procedere nei confronti degli indagati. Ma l’errore, come ricostruito dal Giornale, non è dipeso dal Guardasigilli o dall’esecutivo ma da un cavillo. Secondo il Pg e la Corte d’Appello di Roma l’arresto della Digos di Torino su input dell’Interpol era «irrituale» perché bisognava informare prima il ministero della Giustizia, titolare dei rapporti in via esclusiva con l’Aja. Lo dice il Pg della Capitale nella sua ricostruzione, condivisa anche dalla Corte d’Appello. Da qui l’immediata scarcerazione. Ma il mandato di cattura per Almasri, accusato di aver schiavizzato i detenuti della prigione di Mitiga di cui era direttore dal febbraio 2011, costringendoli ai lavori forzati e responsabile dei massacri di fedelissimi di Gheddafi a Tarhuna tra il 2013 e il 2022, non ammette discrezionalità: «Un conto è l’arresto, aveva spiegato al Giornale una fonte dell’Aja, un conto è la consegna che va condivisa con il Guardasigilli».
Peraltro, come anticipato dai giornali inglesi, Almasri
nel suo viaggio in Europa sarebbe stato protetto da una rete inglese, tanto che agli agenti italiani che lo stavano riportando in Libia avrebbe chiesto di andare a Londra, come rivelato da Gian Micalessin sul «Giornale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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