«Ma come l’hanno ridotta questa città? Che fine farà Milano? Che fine farò io?».
La faccia di Viana Miazzoli, la sua espressione esausta e disperata, è la foto più eloquente di una città che non piace più ai suoi abitanti. Anche a quelli più tosti. Abituati a combattere contro crisi, anni difficili e amministrazioni comunali non proprio lungimiranti, ma che finora hanno sempre tenuto duro: i commercianti. La signora Viana ha 77 anni e da 70 gestisce l’edicola di piazza IV novembre. Arriva ogni mattina alle 5, se ne va alle 19. La stazione Centrale alle spalle, il palazzo della Regione a fianco, davanti il mito dell’hotel Gallia (da due anni in fase di restauro). Non è sposata, non ha figli Viana Miazzoli. Vive sola con un cane in via Tarra, non lontano dall’edicola, 860 euro al mese d’affitto nel quale affondano senza difficoltà i 400 euro di pensione. Il suo reddito nel 2011 (ci mostra il 740) è stato di 3mila484 euro. Non riesce più a tirare avanti, ha pagato la luce e il telefono ma non ha ancora saldato l’affitto del 2010 per l’edicola e, seppur a malincuore - anzi, con una vera e propria disperazione nel cuore - a fine mese probabilmente se ne andrà. «Il degrado ha ucciso questa zona, la gente non si ferma più a comprare nemmeno il giornale, passa in fretta e se ne va schifata. E io non porto a casa più di 400 euro al mese» racconta la donna indicando i giardinetti sporchi, gli escrementi umani ai bordi della strada, gli extracomunitari (ma anche gli italiani) ubriachi che ciondolano sui fazzoletti d’erba accanto a un chiosco che vende bibite in condizioni igieniche alquanto discutibili.
«Una sera di un paio di settimane fa ero qui sola e un napoletano è entrato nel mio bar e ha sputato sul pavimento il chewing gum - spiega Susanna Desogus, 35 anni, madre di tre figli e contitolare del Martin’s bar all’angolo tra piazza IV novembre e via Tarra, aperto dalle 8 alle 20 -. Mi sono limitata a indicargli con la mano il cestino; lui ha ribattuto: “Cosa vuoi donna?“ E ha sputato a terra nuovamente. Lo conosco. Quindi l’ho avvicinato e l’ho spinto fuori. Ha cominciato a gridare davanti al bar come un ossesso frasi del tipo: “Ti uccido, ti taglio la gola, ti brucio“. E poiché non se ne andava, ho chiamato il 113. La polizia mi ha risposto che non potevano farci nulla e che dovevo chiamare i carabinieri. Ho provato a chiamare il 112 per tre volte, con il mio cellulare, con quello del mio compagno e con quello di un cliente. Sono rimasta 40 minuti al telefono: non mi ha risposto nessuno. Mi sono sentita abbandonata, sa? Come quando, qualche tempo fa, ho dovuto licenziare due dipendenti perché, vista la diminuzione della clientela, non potevamo più permetterci un aiuto. Come quando abbiamo trovato le saracinesche del bar coperte di insulti scritti con lo spray. O quando ci hanno strappato le piante sul marciapiede. Dove ogni mattina devo pulire gli escrementi di chi non sa dove andare in bagno. Mi creda: la gente sta ben lontana da qui. E noi presto saremo costretti a chiudere. Chissà se Pisapia, così attento ai rom, ha a cuore la sorte dei commercianti di Milano, rovinati dal degrado».
Maurizio Cuppari, 46 anni, da trent’anni gestisce il bar New York di via Fabio Filzi 33. E negli ultimi tempi anche lui ha dovuto licenziare del personale. «La toilette in stazione Centrale costa un euro: è chiaro che quei poveracci che girano qui attorno non ci vanno. Così la mattina troviamo di tutto qui davanti...Cosa aspettano a fare un bagno pubblico? Eppure il Comune, quando ha dovuto mettere le strisce blu ovunque, qui attorno, creando solo parcheggi per residenti e nessuno spazio per i nostri clienti, non ci ha pensato due volte. Il sindaco sa che molta gente prende il caffè all’interno della Centrale e poi viene in bagno nei bar accanto alla stazione? E che i clienti “normali“, schifati, a quel punto stanno ben lontani dai nostri locali? E poi i bagni, nei bar, hanno dei costi di gestione fissi piuttosto elevati. Soprattutto per quelli come noi, che puliscono la toilette 4 volte al giorno: la mattina, a mezzogiorno, a metà pomeriggio e la sera prima di andarcene».
«Se dovessi vendere l’attività ora non mi darebbero nulla - si lamenta Francesco Dipace, 63 anni, barbiere in via Filzi (tra i suoi affezionati clienti anche il governatore Roberto Formigoni) -. Questo è diventato un ghetto di nordafricani. Dia un’occhiata al vecchio palazzo della Philips e a chi ci gira attorno, oltre ai topi! Non ci sono i servizi, mancano i bagni.
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