Nel Giro masochista è caccia alle streghe E Petacchi si pianta

nostro inviato a Fiuggi

Questa mancava: la sfuriata dell'Etna. Dopo la polvere delle strade sterrate, sul Giro incombe la cenere dell'eruzione. La corsa arriverà lì domenica, c'è una certa apprensione, ma il vulcanologo Zomegnan (a tempo perso patron del Giro) garantisce che comunque non ci saranno problemi. Al limite, ci metteremo tutti in strada a spazzare. Non sembra nemmeno più una gara ciclistica: ormai è una via di mezzo tra «Survivor» e «Giochi senza frontiere». Vince l'ultimo che resta in piedi, magari portandosi sulla testa un vassoio di bicchieri pieni all'orlo.
Più si va avanti, più questa povera edizione 2011 viene dipinta con i toni e i colori di un girone infernale. Per molti narratori che stanno qui, sulla carta stampata e in tv, sembra quasi che ormai il ciclismo non esista più. E se esiste deve comunque chiedere scusa di esistere. Ha la colpa del doping, ha la colpa delle morti in strada, ha la colpa di accanirsi sui corridori con gli sterrati, ha la colpa di andarsi a ficcare sotto i vulcani in eruzione...
Emblematico, clamorosamente emblematico, il «Processo alla tappa» di Fiuggi. Tanto per tenere alta l'immagine del verminaio permamente, col suo solito piglio da zia petulante Alessandra De Stefano presenta l'ennesima lite. Il gregarione Ongarato è sul palco per chiarire che lui non ha mai pronunciato "l'aggettivo assassini", rivolgendosi agli organizzatori dopo la tappa degli sterrati. Dice che sta scritto sulla Gazzetta, anche se non l'ha letto personalmente. La zia, orgogliosa del momento di polemica che le monta tra le mani, solennemente proclama: «Io credo che le polemiche fanno parte del Giro. Ma alcuni aggettivi vanno scelti con più attenzione». Zia, anche i congiuntivi, se è solo per questo («Io credo che le polemiche FACCIANO parte del Giro»).
Lì sul palco c'è pure l'inviato della Gazzetta Luca Gialanella, che cerca di dare spiegazioni a Ongarato sul famoso «aggettivo assassini» (che comunque risulta ancora un sostantivo, in Italia). Poco dopo, il colpo di scena. La zia sfoglia confusamente il giornale rosa e serenamente dice in diretta: «Fatemi trovare questo articolo...». Tremendo: monta il polemicone, chiama sul palco le parti in causa, le fa scannare, poi ammette garrula di non aver letto l'articolo incriminato. Difatti, pochi istanti dopo, il giallo viene risolto nel modo più pietoso: l'"aggettivo assassini" non l'ha mai detto e tanto meno scritto nessuno. Non esiste, è solo una voce mal riportata da chissà chi... È tremendo: come se il ciclismo ne avesse bisogno, si imbarca fango e robaccia anche quando non ci sono. Complimenti alla zia e al suo geniale team: almeno leggere il giornale, prima di montarci sopra mezza trasmissione. Da anni continuano a mandare in onda servizi seppiati del «Processo» di Zavoli: e imparare una volta come si fa?
Via, via da questo genere di cantori ansiogeni e depressivi. Sadici e sfascisti. Il ciclismo ha molti problemi, ma anche moltissime buone ragioni per sentirsi orgoglioso di esistere. Su la testa, tutti quanti. C'è una grande corsa e ci sono tanti momenti alti. Come nella stupenda tappa del ricordo, per Weylandt.

Ma anche nelle normalissime volate di tutti i giorni, tipo quella del valoroso Petacchi, che a pochi metri dalla vittoria resta paralizzato dall'acido lattico, lasciando il traguardo di Fiuggi allo spagnolo Ventoso. Per la cronaca: oggi c'è un bell'arrivo in salita. Se non suona troppo positivo, c'è pure il caso che ci si possa divertire. E' concesso.

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