S ogno o visionaria realtà? Un uomo di spalle sta cercando di tenere in piedi una serie di scope. D'improvviso la luce ne illumina il corpo. Il viso rivolto verso la platea... «Un contrario», una «non verità», dice Emma Dante, la regista palermitana nota a livello internazionale che firma la regia dello spettacolo, da stasera in scena al Crt di Milano. «Se avessi sognato (e in realtà l'ho fatto), Il Festino, l'avrei visto così. Un testo surreale, onirico che rimanda ad uno spettacolo girato che (s)maschera graduali verità sul personaggio, senza tralasciare i rapporti con la famiglia. Il corpo dell'attore, la sua recitazione mutuata dalla musicalità del dialetto, sono gli elementi caratterizzanti la poetica della regista siciliana che, l'11 febbraio prossimo debutterà al Mercadante di Napoli con La Pulla, (la Puttana, in palermitano), un musical stonato sulla prostituzione, che incrocia prosa e musica a partire da testi scritti dalla stessa Emma e dalla musica di un artista sardo. L'accostare prosa e sonorità musicali non è una novità per la regista palermitana che già tre anni fa ha collaborato con Carmen Consoli, scrivendo degli intermezzi teatrali per il suo tour. «Mi sono ispirata ai testi di Carmen e ho scritto dei monologhi teatrali. Il risultato è stato soddisfacente ed è stato molto apprezzato dal pubblico».
Si può parlare oggi di contaminazione di linguaggi differenti nella sua opera?
«La contaminazione è un'operazione naturale tra scenografia, musica, gestualità espressiva, contenuto del testo, linguaggio. La macchina teatrale è amplificata da tutti questi elementi scenici che devono poter recitare insieme all'attore e quindi creare il segno scenico. Costruisco il personaggio a partire dai costumi, glieli cucio addosso; poi essi come d'incanto prendono vita dentro il corpo dell'attore che porta in scena la musicalità del dialetto palermitano. Questanno sono stata invitata al teatro alla Scala per la Carmen di Bizet (il 7 dicembre), con la direzione del maestro Barenboim. Sarà un'esperienza straordinaria per la quale dovrò scendere a compromesso con l'opera musicale. La musica comunque resterà l'elemento principale: l'idea, infatti è far convivere due mondi, cercando di mantenere l'identità della mia poetica. Mi farò guidare dal maestro Barenboim, non forzerò nulla, anzi cercherò di tenere sempre l'allestimento in secondo piano, comunque, sempre in equilibrio con la musica».
Il teatro quindi incontra la musica, ma anche il video, la videoinstallazione, la poesia. Secondo lei, il teatro internazionale si sta muovendo verso la ricerca di un'opera totale?
«Bisogna aver chiara l'idea di quello che si vuole comunicare e poi lasciare che il senso venga (ri)costruito dal pubblico. Ogni cosa può essere usata: computer, video, elementi arcaici, come un crocifisso, un vestito da sposa... Ma bisogna che non si resti legati al concetto di estetica, né alla ricerca dell'armonia, perché l'opera complessiva può veicolare anche la volgarità, può essere sgraziata, ma rispondere, sempre all'onestà e alla sincerità del suo autore».
Il suo è ormai un successo internazionale... Come lo spiega?
«Probabilmente nel mio lavoro si sente una radice comune, una sorta di appartenenza ad un progetto condiviso. Gli attori sono sempre gli stessi, e dietro ad un modo di far teatro c'è comunque una questione morale e una presa di coscienza rispetto a temi della nostra epoca.
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