Nel Paese delle Meraviglie di Alice Munro

In «Il percorso dell’amore» si snodano storie di persone comuni trasformate in cittadini del paese dei balocchi

Una donna si trasforma in un troll, gli spiritelli panciuti, piriformi e grinzosi che popolano i boschi della Norvegia. Niente meraviglie però, niente magie: niente di più facile che scorgerla - lontanissimo dai fiordi scandinavi - di fronte a una casetta piccolina in Canada mentre, tra fiori di lillà e cespi di more, traffica nel suo giardino con indosso jeans sdruciti, maglietta abbondante e «sotto niente che contenga o che sostenga». Un uomo appare come un angelo, i capelli fini, luccicanti e argentati come le statuine dell’albero di Natale, di fronte al riverbero del televisore. Nessuna visitazione, però, e alla visita un amico d’infanzia stenta a distogliere lo sguardo dallo schermo - «ancora un momento, c’è il meteo; aspetta c’è il quiz con la signorina carina, poi le notizie, il documentario...» -, e non deciderà di togliersi dalla poltrona per uscire a far due passi con l’ospite. Lei, la pesante fata delle aiuole, è vistosamente passée. Lui, il custode del catodico focolare, è rassegnatamente agé. Ma l’età, il tempo che passa e porta pesantezza sgraziata o inerzia annoiata, li ha avvolti in una loro aura d’incantesimo.
Non sono favole i racconti di Alice Munro, la scrittrice con un nome da Paese delle Meraviglie che viene dal Canada (ci è nata nel 1931) e, come un’Arianna avventata intreccia il suo filo lungo Il percorso dell'amore (Einaudi, pagg. 330, euro 18,50) per cingerne i suoi personaggi - spesso anziani, qualche volta ammalati - come di un’aureola fiabesca.
Le sue sono storie di vita normale, prosaica, feriale: snodate dentro un labirinto di imprevisti - senza via di uscita, senza uno sbocco, nemmeno un finale - ma consumate nel clima giocoso, eccezionale della festa. Storie di persone comuni, trasformate in cittadini del Paese dei balocchi - il nonno «coi lineamenti consumati da orsacchiotto», la mamma «dalla soffice chioma grigia, fianchi e spalle larghe, un cucciolo di elefante» - senza abracadabra o sortilegi, senza sorprese: appena superata, con gli anni, la soglia del mondo disincantato degli adulti. Dall’altra parte dell’uscio, con lo stesso diritto di cittadinanza nel Canada delle Meraviglie - una terra agreste e metropolitana, nordica e lontana, frastagliata da innesti di Usa (Washington e Montana, alternati all’Ontario dove la Munro è nata e alla Columbia Britannica dove vive) e ritmata dall’alternanza di ghiaccio e campagna, slitta e calesse, nevicate e disgeli... - ci sono i bambini.
La scrittrice, senza indulgere a puerili fantasticherie, li presenta in tutta la loro malìa arcana: «l’aperta spudoratezza, la soave indifferenza» del loro corpo, i loro segreti ostinati, la «timidezza feroce», la ribellione «intensa e rabbiosa» che oppongono ai grandi notandone goffaggine, formalità, tracotanza. O «il fiato, la rozzezza, la pelosità».
Sono tante volte ragazzini gli spettatori privilegiati di un regno narrativo stregato senza bisogno di fantasie e abitato da maggiorenni «cordiali e delusi», smagati e «sconfitti, con il loro sesso e i loro funerali». Fanno tutto crudelmente magico - è il tocco di Alice -: captando dolori e timori incomprensibili, vecchi enigmi, «la misteriosa tumescenza che sta dietro le parole degli adulti», «il soffio di intimità» che esala dai loro discorsi. Proprio come i vecchi che, con illusionismo non meno naïf, si baloccano favoleggiando dei tempi andati: correggendo i ricordi, ridipingendo gli aneddoti, «risistemando il passato in modo che capiti tutto quello che si sarebbe voluto». La felicità - e lo humour - dei racconti di Alice Munro sta tutta in queste sviste ben messe a fuoco, i tromp l'oeil, le illusioni calcolate sulla trepidazione ingenua e la curiosità o misurate sui mentiti sollievi e i compiacimenti truccati della terza età. Ma poiché non di favole si tratta, la loro felicità non sta mai nell’happy end. Resta, per qualche nostalgico volonteroso (e bugiardo), nei ricordi: «Ma non si seppe mai che farsene». Di solito se ne sa appena qualcosa.

Ma allora suona come un invito - a dirci bugie? a inventar storie? a leggere le storie della Munro? - il commento fuori campo della narratrice: «Avremmo a disposizione una vita felice nella quale ci imbattiamo, consapevolmente, solo qualche rara volta».

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