È la terra del sonno e del terrore, il paese del Qat e delle tribù fedeli alla famiglia di Osama Bin Laden. In quellangolo di Medio Oriente dove Alberto Moravia descriveva le meraviglie di Saana, Venezia del deserto, ozia oggi un paese stremato dallabuso di piante anfetaminiche e minacciato dalla collusione tra regime e terrore integralista.
Labbraccio tra potere e terrore ha un sapore ancestrale. Il padre di Osama Bin Laden vide la luce nel villaggio di Al Rubat, in quella regione settentrionale di Hadramaut dove ancora oggi sono garantite incolumità e libertà di movimento per qualsiasi militante integralista. I legami si rafforzarono negli anni 80 quando il regime di Alì Abdullah Saleh mise a disposizione dei volontari di Osama Bin Laden i campi daddestramento per la guerra ai sovietici. Il favore venne ricambiato ai primi anni 90 quando i militanti della nascente Al Qaida diedero una mano a Saleh nella guerra contro il regime comunista di Aden che porterà allunificazione dello Yemen. Da allora Saleh non ha perso una rielezione e molti suoi uomini di fiducia non hanno dimenticato i passati legami.
Non a caso Jamal Al Badawi, pianificatore dellattentato all incrociatore Uss Cole, costato nel 2000 la vita di 17 marinai americani, si è visto commutare la condanna a morte in 15 anni di carcere ed è in seguito evaso per due volte. Non a caso la seconda evasione, la stessa che riporta in liberta una quindicina di capi terroristi, arriva nel febbraio 2007 mentre le cellule di Al Qaida combattono, a fianco dellesercito, la rivolta delle tribù sciite del nord. Gli attacchi a colpi di mortaio allambasciata americana e poi a quella italiana dello scorso marzo erano stati preceduti, del resto, dalla richiesta di liberazione di tutti i detenuti integralisti. E lattentato di ieri è stato preceduto dalle assicurazioni, rivelatesi false, che hanno spinto il Dipartimento di Stato a far rientrare il personale evacuato per precauzione la scorsa primavera.
La peggior minaccia verde non ha però il colore dellIslam integralista, ma quello del Qat, la pianta narcotica capace di trascinare il paese nelle braccia di Morfeo tra le due e le sei di ogni pomeriggio e ridurre in cronica depressione i suoi abitanti. Per osservare lo stato di assoluta narcodipendenza che trasforma in schiavi del qat il 72% dei maschi yemeniti e il 33% delle donne basta passeggiare per le strade della capitale.
Alle dieci il mercato è invaso dai venditori derba e dai clienti a caccia della migliore balla di foglie. Concluso laffare primario la vita non si prolunga oltre lora di pranzo. Dopo lultimo boccone inizia quella ruminazione senza sosta che trascina il paese nellincoscienza fino allora di cena. Per realizzare quel «sogno» collettivo ogni anno si seminano, si coltivano e si vendono 360 milioni di piantine di qat. Un solo ettaro di quella velenosa «camomilla» garantisce entrate per 8.500 euro a fronte dei 1500 consentiti da altre culture. Ma lirrigazione di quella giungla di narcotici richiede il 40-50 % di acqua in più di qualsiasi altra piantagione contribuendo a dilapidare il ridotto patrimonio idrico. Di questo passo lo Yemen impiegherà dieci anni per bersi lultima goccia dacqua. In attesa di quellirreversibile destino il paese addormentato sopravvive grazie alla generosità degli emirati arabi costretti la scorsa estate a spedirgli 500mila tonnellate di grano per evitare la carestia.
Ma carestia e siccità sono poca cosa rispetto ai disastri provocati da una pianta che trascina i suoi consumatori a una depressione cronica e a una dipendenza irreversibile.
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