Il «New York Times» stronca l’Ara Pacis: «Irrispettosa»

Il critico architettonico del giornale statunitense: «La teca di Meier fuori scala rispetto alla città attorno» Rampelli (An): «Una figuraccia internazionale»

Andrea Cuomo

Ara Pacis, l’obbrobrio del Due Mondi. La teca di Richard Meier vanto della nouvelle vague architettonica del sindaco-mecenate Walter Veltroni non piace nemmeno oltreoceano, almeno a giudicare dalla secca stroncatura pubblicata ieri dall’edizione on line del New York Times. Un articolo firmato da Nicolai Ouroussof, critico di architettura del quotidiano newyorkese, che riconosce ra all’opera di Meier un solo merito: «È la prima opera cittadina terminata nel centro storico di Roma in più di mezzo secolo - scrive l’articolista - che celebra la voglia di questa città di abbracciare l’architettura contemporanea, dopo decadi in cui le sono state voltate le spalle».
Bene, bravi. Peccato che questo giudizio positivo non abbia nulla a che fare con il merito dell’opera. Opera il cui rapporto «con le glorie» è invece assolutamente nullo. «L’Ara Pacis - scrive il NYT - dimostra cosa può accadere quando un architetto “feticizza” il suo stile. Fuori scala in un modo assurdo, sembra essere indifferente alla nuda bellezza del città intorno». Quasi a fornire un alibi a quelle persone convinte del fatto che «non ci sia posto nella città eterna per la nuova architettura».
Il critico passa poi a esaminare i particolari dell’Ara Pacis, promuovendo la «piacevole scala in marmo» e gli interni che le vetrate rendono visibili anche agli automobilisti e ai passanti sul lungotevere. E bocciando tutto il resto di un’opera «piena di inutili aggiunte: una lobby troppo formale, una libreria e una sala da 150 posti». Insomma: «Non c’è niente di lieve in quest’opera. La simmetria formale dei due blocchi bianchi che circoscrivono l’opera la rendono solenne». La parte peggiore, per il quotidiano, «è il trattamento che Meier riserva alle chiese di San Rocco e di San Girolamo dei Croati, alla fine di piazza Augusto Imperatore. Il muro di travertino, visto dalla strada, taglia in due le chiese. Inoltre lo stesso progetto soffoca la piazza, esercitando una pressione irrispettosa». «Questo museo - conclude il giornale - ci ricorda che la vanità non appartiene solo ai generali e ai politici».
Un articolo che ha una volta di più scatenato chi a Roma queste cose (e molte altre) le sostiene da tempo. «Quella del NYT - dice Fabio Rampelli, architetto e deputato di An - è l’ennesima autorevole perplessità su un’opera brutta, distruttiva e autoreferenziale, che già nell’aprile del 2001 si conquistò le attenzioni del britannico Daily Telegraph. Pensavano che con l’architetto di grido internazionale ci si potesse guadagnare l’ammirazione internazionale - conclude Rampelli - ma, oggi ne abbiamo la conferma: d’internazionale c’è solo la figuraccia». Si duole anche Andrea Augello: «Purtroppo per Walter Veltroni - ironizza il senatore di An - il suo ufficio stampa non è ancora riuscito a chiudere la bocca almeno al New York Times: così quello che pensano decine di intellettuali e centinaia di migliaia di cittadini sul gran pasticcio combinato da Meier all’Ara Pacis, è scritto nero su bianco sul quotidiano americano».

«Veltroni - fanno notare Marco Marsilio e Federico Mollicone, capigruppo di An in consiglio comunale e al Municipio I - non ha mai dato prova di un atteggiamento sportivo rispetto alle critiche, ma in questo caso non può esimersi dall’incassare questa sonora e totale stroncatura, e fare mea culpa per l’arroganza con cui ha sempre liquidato le argomentate critiche dell'opposizione e di un vasto e trasversale schieramento culturale. Questa figuraccia planetaria dovrebbe consigliare a Veltroni e Morassut di procedere con il capo chino nel definire i criteri del progetto di risistemazione di piazza Augusto Imperatore».

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