"Noi italiani in Serbia ora abbiamo paura"

"Il riconoscimento un errore che pagheremo noi". I timori di ritorsione su treni e voli che riforniscono i soldati della missione tricolore a Pristina. Sempre più freddi i rapporti tra Roma e Belgrado dopo il ritiro dell’ambasciatore

"Noi italiani in Serbia ora abbiamo paura"

da Belgrado

«L’ambasciatore italiano non avrà accesso ai ministri e ai loro vice del governo serbo, ma non ci sono stati altri segnali di volere ulteriormente raffreddare i rapporti con l’Italia» spiega Pietro Vacanti, primo segretario della nostra rappresentanza a Belgrado. I diplomatici si sforzano di gettare acqua sul fuoco, ma il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo potrebbe avere effetti devastanti sui rapporti con la Serbia.
Ieri è arrivata a Belgrado l’ambasciatrice serba a Roma, Sanda Raskovic-Ivic, richiamata per consultazioni. Non siamo ancora alla rottura delle relazione, ma nessuno sa cosa accadrà nei prossimi giorni. A marzo è attesa in Italia una delegazione serba per un giro nelle industrie degli armamenti. Fra Roma e Belgrado esiste un accordo bilaterale nel campo della difesa, che per ora non è stato cancellato. La ritorsione più pesante potrebbe invece riguardare i treni e i voli che riforniscono le nostre truppe in Kosovo. Passano per la Serbia e non si sa quali siano le intenzioni di Belgrado.
Lo scambio commerciale è di quasi 2 miliardi di euro, due terzi del quale di esportazioni italiane in Serbia. «La speranza è che la crisi dei rapporti politici prescinda da quelli economici. Ma certo la situazione è delicata», sostiene Adalberto Valduga, presidente dell'Assindustria del Friuli-Venezia Giulia, regione che investe molto in Serbia. Gli imprenditori italiani temono l’ostruzionismo delle dogane e ispezioni fiscali a raffica. La Italsvenjka, società del gruppo Crabo Spa, ha due stabilimenti in Serbia che producono sedie, tavoli e mobili. «Seguendo i suggerimenti dell’ambasciata - ha detto il titolare del gruppo Roberto Lovato - abbiamo fatto ridotto il personale italiano».
Gli italiani in Serbia sono circa 900, molti hanno doppia cittadinanza. L’ambasciata ha predisposto un piano di evacuazione, in caso di necessità e rimane in collegamento con tutti via sms. Ivano Macrì è l’italiano più in prima linea. Da otto anni vive a Mitrovica, la roccaforte serba nel nord del Kosovo, dove gestisce il Caffè du Paris. «Mi sento a disagio e scontento che l’Italia abbia riconosciuto l’indipendenza del Kosovo - dichiara Macrì al Giornale -. A Roma sono stati imprudenti. Potevano almeno dilatare i tempi». Dal Kosovo non vuole andarsene, ma la situazione è critica: «Tanto tranquillo non sono. La gente di Mitrovica mi conosce, ma stanno arrivando anche da fuori - spiega Macrì -. Hanno lanciato pietre contro gli agenti serbi solo perché indossavano la divisa della polizia kosovara. Qualcuno potrebbe tirarle anche a me perché sono italiano». Ad Unicredit hanno devastato due sedi, ma il gruppo pensava di raddoppiare gli sportelli. A Belgrado ci sono 50 insegne di Banca Intesa e 100 delle assicurazioni Generali, che potrebbero diventare dei bersagli.

Nei disordini di giovedì scorso sono stati colpiti negozi Benetton, Bata e Cesare Paciotti, oltre alle sassate contro il centro culturale italiano. Intanto è stato identificato il corpo trovato fra le macerie dell’ambasciata Usa. Si tratta di Zoran Vujovic, 21, studente di Novi Sad. La famiglia era profuga dal Kosovo.

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