Non bastano i soldi: l’esercito cerca sponsor

Il capo di Stato Maggiore: «Niente marchi sulla divisa ma sì ai contributi privati»

da Roma

Niente carro armato targato Coca Cola, «questo no. Ma in tempo di vacche magre - dice il capo di Stato maggiore dell'Esercito, Filiberto Cecchi - bisogna guardare le cose in termini innovativi». E dunque, largo agli sponsor. Il generale, ai giornalisti che gli chiedono come pensa di venir fuori dalle secche della legge finanziaria, cita il caso dell'esercito inglese, «che certo non versa in condizioni drammatiche come le nostre». Che fanno gli inglesi? «Noleggiano, per così dire, uomini e mezzi per fare dei film. E in cambio ottengono servizi. Credo che anche l'Italia si dovrebbe adeguare».
L'Esercito lo sta già facendo. Per adesso niente comparse, ma per le iniziative promozionali, ad esempio, il ricorso agli sponsor è già molto diffuso. Basta guardare alle cerimonie per il 145º anniversario delle Forze armate: concerti, mostre, libri e numerosi altri eventi (che culmineranno con la tradizionale cerimonia militare del 4 maggio) resi possibili proprio grazie a contributi privati. In questo caso di sponsor se ne contano addirittura 14, tra grandi industrie, enti locali, gruppi assicurativi. C'è persino un'emittente tv. Il generale lo ammette senza problemi: «Gli sponsor privati ci consentono di fare cose che le risorse di bilancio non consentirebbero». Anche nel settore sportivo le Forze armate hanno aperto agli sponsor, «ma personalmente ritengo che si possa ricorrere al loro contributo - dice Cecchi - in molti altri settori». Anche in ambito operativo? «Quello lo lascerei per ultimo», risponde il generale. In linea di principio non ci sono vincoli «politici» all'impiego di sponsor, che possono essere dunque utilizzati in ogni ambito: «Ma bisogna sempre rispettare le norme amministrative». E anche al buon senso: «Non si può certo andare in giro con la divisa sponsorizzata». Sponsor o no, quello che è certo è che l'Esercito deve fare i conti con una carenza di risorse, e una mole di impegni, senza precedenti negli ultimi decenni. Il bilancio 2006, afferma il capo di Stato maggiore, «è veramente critico e penalizzante» e colloca l'Italia «ai gradini più bassi in ambito europeo. Se poi rapportiamo questa situazione con gli impegni che vedono il nostro Paese come primo contributore nelle missioni Nato e secondo in quelle europee, ci rendiamo conto che qualcosa non funziona».
«Per quanto ci riguarda - aggiunge Cecchi - abbiamo fatto pesanti sacrifici, con tagli significativi in alcuni settori vitali, dalle esercitazioni alle manutenzioni, alle infrastrutture. Cerchiamo di risparmiare dovunque, riducendo anche le attività che erano state date finora in “outsourcing”, cioè appaltate all'esterno, come alcuni servizi di guardia, di pulizia o di cucina». Insomma, un inatteso ritorno al passato, con lo spettro della famigerata corvé che torna a far capolino anche nel moderno Esercito di soli professionisti.
Richieste al nuovo governo? «Il Bilancio della Difesa è naturalmente una decisione politica», risponde il generale. «Noi non possiamo pretendere un certo bilancio e dobbiamo adeguarci a quello che c'è.

Io comunque mi auspico che venga presto fatta una riflessione molto attenta su quali siano le ambizioni del Paese in termini di sicurezza e difesa, una riflessione da cui dovrebbe conseguire una chiara definizione delle risorse da mettere a disposizione delle Forze armate».

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