Non esistono più gli indiani della strada

«Nei musei trattano gli abiti come testi antichi: è commovente» dice Valentino davanti alla teca con vetri a prova di proiettile che custodisce uno dei 140 modelli d'alta moda esposti nella mostra Valentino: Master of Couture alla Somerset House di Londra fino al 3 marzo. Si tratta di una spettacolare cappa fatta da innumerevoli dischi in chiffon rosa che il Musèe des Arts Decoratifs di Parigi ha prestato al suo creatore solo in cambio di eccezionali misure di sicurezza. Gli altri capi sono invece esposti per così dire liberamente sui due lati di una galleria lunga 60 metri trasformata in passerella. I curatori della mostra - Patrick Kimmonth e Antonio Manfreda - hanno creato una vera e propria sfilata al contrario. I visitatori prendono il posto delle modelle e sfilano davanti agli abiti che diventano pubblico e al tempo stesso vibrante testimonianza di mille storie in una: 50 anni d'incredibile creatività del nostro più grande couturier. Si comincia da un fulminante abito da cocktail blu del 1959 che sembra disegnato l'altro ieri come del resto il meraviglioso tubino nero con cui Monica Vitti nel '61 conquistò l'amore di Michelangelo Antonioni sul set del film La notte. Poi c'è il cappotto in bouclè marrone dal collo di zibellino che Farah Diba indossò il 16 gennaio del 1979 quando lo Scia di Persia fu costretto all'esilio dal regime degli Ayatollà. Dall'altro lato della passerella un manichino seduto in posa da ragazzaccio mostra lo strepitoso modello da ballo del 1994 con tanto di crinolina in chiffon mimetico. «L'ho fatto prematuramente perchè oggi il camouflage si trova nei negozi low cost» commenta Valentino mentre il suo storico socio e braccio destro, Giancarlo Giammetti, ricorda che quel capo era ispirato da un celebre quadro di Andy Warhol e fu lanciato con il colto calembour: «Don't make war, make Warhol». Identici a se stessi nel docu-film The last emperor, i due danno vita a gustosi siparietti. «Ecco gli abiti del sogno» esclama uno e l'altro spiega che il meraviglioso vestito bianco con drappeggi rosa degradè e incrostazioni di ricami su un seno, fu disegnato come omaggio a Maria Felix nel 1955, quando Valentino era ancora un giovane assistente di Jean Dessès e realizzato solo nel 1990 quando ormai l'attrice messicana era uscita di scena da un pezzo. «Quello è il mio primo vestito» esclama Valentino indicando un poetico minidress rosso con gonna a palloncino e grandi rose ingabbiate nel tulle. «Fai vedere i cappottini con la V di metallo sulle tasche» incalza Giammetti e non ha torto perché quello è il primo e più raffinato esempio di logo nella storia dell'alta moda: un'iniziale che dice tutto anche perchè sottolinea la magia del taglio e delle proporzioni. Mr. Garavani fa spallucce e preferisce raccontare la storia dell'abito che Jacqueline Kennedy decise d'indossare per il matrimonio con Onassis a sua insaputa. «Me l'hanno detto i giornalisti di WWD - racconta - lei aveva comprato un nastro color avorio prima di partire per Skorpios e loro dal colore sono risaliti a me». Già, per Valentino il '68 ancora oggi è «l'anno di una meravigliosa collezione bianca» invece dell'inizio della contestazione. Non a caso mentre infuria il maggio francese lui crea un sublime poncho color pesca per la principessa di Monaco e poco prima dell'uccisione di Bob Kennedy prepara lo spettacolare peplo da sera con cui Jackie parteciperà una serata di gala durante la visita ufficiale del cognato in Cambogia. Quello stesso modello verrà poi sfoggiato da Jennifer Lopez e Marie Chantal di Grecia. Quest'ultima ha concesso di mostrare il suo incredibile abito da sposa con il velo che da solo è costato un mese di lavoro a 15 sarte per assemblare 14 diversi tipi di merletto su 4,5 metri di strascico. «A quel matrimonio celebrato a Londra nel 1997 c'erano più teste coronate che a quello della regina Elisabetta 50 anni prima» osserva Giammetti.
Valentino dichiara che è proprio The Queen l'unica donna celebre che non ha mai vestito e che avrebbe voluto vestire. «Pazienza - conclude - adesso ci sono i Valentini, ovvero i miei successori: Pier Paolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri. Sono bravissimi».

Elide Morelli, caporeparto dell'atelier di Piazza Mignanelli a Roma lavora da 41 anni per la griffe, Daniela Toni ha alle spalle 27 anni di carriera e il ventiquattrenne Rocco Baldassarri è entrato in sartoria da anno. Basterebbero loro per dire che la storia continua, ma in più dicono: «Questi vestiti attraversano la vita di tanta gente. Per noi hanno un nome e un cognome come i parenti, portano un pezzo dell'Italia nel mondo».

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