«Non sono più Cettina, ma faccio ridere ancora»

«Non sono più Cettina, ma faccio ridere ancora»

Un’attrice anomala. Per il talento, davvero poco comune. Per il successo, raggiunto tardi, senza facilitazioni fisiche, senza raccomandazioni titolate. E per le scelte. Dal 10 a teatro a Milano con Due di noi di Michael Frayn (delizioso ritratto agrodolce di tre disavventure coniugali, tutte interpretate in tandem con Emilio Solfrizzi) l’anomala Lunetta Savino - tra i più amati e popolari personaggi tv, la Cettina di Medico in famiglia - da almeno cinque anni non fa più tv. Scelta meditata? O inspiegabile disattenzione (altrui)?
«Il teatro l’ho sempre amato. Questo testo di Frayn, poi, è un incanto: tre atti unici su tre coppie diverse, tutte affidate a me e a Solfrizzi. La prima coppia torna nell’hotel dove passò la luna di miele: idea azzardata. La seconda non comunica più: lei si riduce a parlare col piede di lui. La terza, per errore, invita a cena un’altra coppia che sta per separarsi; e grazie a virtuosistici cambi, vocali e di costume, io ed Emilio interpretiamo da soli tutte le parti».
Il pubblico, però, continua a chiedersi non appare più in tv.
«È vero: me lo chiedono tutti, continuamente. Beh: vorrei saperlo anch’io. Dopo che dalla Rai è andato via Agostino Saccà - una persona con cui ho lavorato benissimo, ottenendo successi come Raccontami, il coraggio di Angela, Il figlio della luna - non mi hanno più cercato. Del Noce non mi convoca. Dipenderà dall’età: capisco che s’investe sempre meno sulle interpreti mature. Dipenderà da me: io non ho gusti facili, voglio fare solo cose belle. Sta di fatto che, a parte Due mamme di troppo per Mediaset (che però non è andato bene), in tv sono cinque anni che non lavoro».
Non dipenderà anche dalla scelta (coraggiosa) di abbandonare «Un medico in famiglia»?
«Più che coraggiosa la scelta fu inevitabile. Col Medico avrei potuto viverci di rendita. Ho per quella serie un affetto enorme: ci stavo dentro come a casa mia, ho passato più ore con la mia finta famiglia tv che con quella vera. Quando mi sono resa conto che ormai tutti mi chiamavano Cettina, invece di Lunetta, ho capito che rischiavo di rimanere per sempre in grembiule e ciabatte».
E le serie che hanno fatto senza di lei, le ha viste?
«Giusto un’occhiatina. C’erano un sacco di bambini. Troppi. Va bene che ormai i ragazzini li mettono dappertutto, ma nelle fiction proprio non si sopportano. E poi, sa che cos’è: forse una volta andati via io e Banfi...»
Arrivare alla popolarità in età matura è stato per lei più fonte di soddisfazione o di rimpianto?
«È stato l’ultimo treno. L’ho acchiappato al volo. Avevo deciso di piantarla, col mestiere d’attrice: ormai da anni lavoravo poco, mal pagata, senza prospettive. Allora ho mollato tutto, mi sono trasferita a Napoli, e per tre anni ho fatto l’impiegata in una casa editrice. Mi sono salvata perché è andata male pure lì: per sopravvivere sono dovuta tornare a recitare. Ed è stata la mia fortuna».
Insomma: lei si aspetta sempre che il destino giri dove vuole.
«Sono fatalista. Se le occasioni non vengono vuol dire che è meglio per me. All’inizio della mia carriera avrei pagato oro per vincere un provino col grande regista Liubomov, per il suo Delitto e castigo.

Invece il provino lo persi e mi prese, per un altro spettacolo, Luigi De Filippo. Nella sua compagnia conobbi il futuro padre della mia bambina. Beh: se non avessi perso il provino con Liubimov non avrei avuto mia figlia».

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