Ocse: «Riforme a rischio il governo è troppo debole»

L’organizzazione di Parigi stronca l’esecutivo Prodi: «Eccessiva frammentazione. Non ha i numeri per fare interventi strutturali»

Ocse: «Riforme a rischio il governo è troppo debole»

Antonio Signorini

da Roma

La ripresa c’è. Il 2005 è stato l’ultimo anno con il freno a mano tirato e già a partire dal 2006 l’economia italiana conoscerà una nuova fase di espansione, con ritmi di crescita superiori alle aspettative. Ma i problemi strutturali del Belpaese non sono cambiati; i conti, in particolare il debito pubblico, continuano a preoccupare. Da quest’anno, poi, in Italia potrebbe tornare a pagare il prezzo di un male antico: l’instabilità politica.
L’analisi è contenuta nell’Economic Outlook dell’Ocse. «Il nuovo Governo italiano - si legge nel rapporto - ha annunciato la sua intenzione di realizzare urgenti riforme strutturali. Ma i rischi sembrano particolarmente alti. Appare infatti difficile fare le riforme necessarie, visti i limitati margini parlamentari e la natura frammentata della coalizione di governo. Questo - avverte l’Ocse - potrebbe avere ripercussioni sulla fiducia dei mercati, sulle finanze pubbliche e sulla crescita».
La direzione indicata dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo è la solita: «liberalizzazioni» e poi «una maggiore flessibilità salariale», «riduzione della spesa pubblica». Senza queste «riforme strutturali audaci» la stagnazione «è destinata a persistere».
Le previsioni dell’Ocse sul Pil sono superiori rispetto alle aspettative e alle previsioni della stessa oganizzazione di Parigi. Nel 2006 il Prodotto interno lordo farà registrare 1,4 per cento, contro l’1,1 per cento stimato nel precedente rapporto. Il rimbalzo rispetto alla crescita dell’anno scorso, prossima allo zero, è soprattutto un effetto della domanda internazionale che è tornata a correre. Ma per la stessa ragione nella seconda metà di quest’anno e l’anno prossimo, la crescita si raffredderà un po’. Nel 2007, secondo l’Ocse, il Pil crescerà dell’1,3 per cento, «molto al di sotto della media dell’area dell'euro» (2,1 per cento) e degli altri Paesi sviluppati (2,9 per cento).
Ma a preoccupare il capo Economista dell’organizzazione Jean-Philippe Cotis, più che il Pil, è lo stato dei conti di diversi Paesi europei, Italia compresa. Senza interventi decisi il rapporto deficit-Pil nel nostro Paese è previsto al 4,2 per cento nel 2006 (contro i 3,8 per cento concordato con Bruxelles) e al 4,6 per cento nel 2007. Impossibile prevedere una discesa del debito pubblico, che per i prossimi mesi è destinato a restare ben al di sopra del 100 per cento, al 107,4 per cento nel 2006 e al 108,4 per cento nel 2007.
I dati suggeriscono l’adozione di misure urgenti, come una manovra correttiva. Secondo il capo del desk per l'Italia, Alexandre Bibbee, «prima è, meglio è. Penso che se il Governo aspettasse il varo della Finanziaria per il 2007 giocherebbe con il fuoco».
Un’analisi che ha suscitato reazioni opposte dentro il governo. Tranquillizzante il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa: «L’Ocse non ha usato la parola allarme. Stiamo esaminando la situazione». In fibrillazione il premier Romano Prodi: «I dati dell’Ocse accentuano la nostra preoccupazione e li prendiamo molto sul serio. Dobbiamo elaborare una strategia nazionale per uscire dalla stagnazione. Non conosciamo bene gli strumenti per la crescita, ma dobbiamo partire immediatamente per poter avere i frutti in un periodo che si misuri in mesi, non in anni».
Quello che è certo è che l’Italia ha poco tempo per salire sul treno di una ripresa che non sembra avere basi solide. In generale, nei venti Paesi dell’area Ocse «dopo i molti tentativi falliti, la possibilità di una ripresa economica su larga scala è ai livelli più elevati dagli anni Novanta». C’è un’espansione ma «resta vulnerabile». Soprattutto per colpa del petrolio i cui prezzi resteranno elevati, sopra i 70 dollari al barile, a causa del persistere delle turbative del mercato, come le tensioni in Nigeria, la crisi irachena, i difficili rapporti col governo iraniano.

Inoltre - spiegano gli esperti dell’organizzazione di Parigi - i Paesi produttori di petrolio continuano a non investire abbastanza nelle attività di esplorazione ed estrazione. In una situazione del genere, secondo Cotis, i tassi di interesse europei non andrebbero rialzati. La ripresa è ancora troppo incerta e occorrerebbe aspettare almeno la fine dell’estate.

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