Odissea finita per i nostri sfollati: «Avevamo paura per i bambini»

Dopo un giorno di viaggio sono arrivati a Roma: «Ma non ci sembra vero essere qui»

Emanuela Fontana

da Roma

Hanno visto proiettili distruggere i vetri del proprio albergo, hanno sentito l’esplosione delle bombe e sembrava «di avere i fuochi d’artificio nella stanza», erano in una città rinata dopo mezzo secolo di lotte interne e guerre e l’hanno vista riempirsi di fiamme e fumo improvvisamente, dal venerdì pomeriggio in cui i tank di Israele hanno reagito alla rappresaglia degli Hezbollah puntando su Beirut. Sono arrivati stremati, un viaggio infinito alle spalle, 24 ore di trasferimenti in bus con un’attesa di oltre sette ore al confine libanese-siriano, due viaggi aerei, il primo verso Cipro e il secondo, finalmente, da Larnaca, con atterraggio a Roma. Centonovanta passeggeri sul primo Airbus 321 dell’Alitalia, arrivato all’alba, poco dopo le 5, a Fiumicino, 162, di cui la maggior parte stranieri, sul secondo, AirOne, che ha toccato la pista del Leonardo da Vinci alle 8.24. Sono solo una prima parte di italiani ed europei che hanno chiesto alla nostra ambasciata a Beirut di lasciare immediatamente il Libano. Hanno avuto paura, «tanta paura», dice Valentina, 13 anni, una ragazzina che conosce bene Beirut perché ci va tutti gli anni, papà libanese e mamma italiana che la aspettava commossa nel salone degli arrivi per riabbracciarla. Sul primo volo erano sei i bambini, 11 minori, seduti sull’Airbus dell’Alitalia e costretti a scappare dal Libano con i loro genitori.
Ci sono turisti, ma anche uomini d’affari tra i primi sfollati italiani della guerra: «Un proiettile ha colpito l’albergo dove soggiornavo in pieno centro a Beirut - racconta Maurizio Costabeber, di Vicenza -. Con il passare degli attacchi sono arrivati sempre più vicini al Metropolitan. È stato terribile, in quel momento ho avuto davvero paura».
Maurizio Brettegani di Milano ha sentito il boato delle bombe dalla periferia di Beirut, dove si era rifugiato. Ha moglie libanese, era andato a trovare i parenti: «Eravamo molto vicini al quartiere degli Hezbollah. Ci siamo allora trasferiti alla periferia della città e da lì abbiamo assistito agli attacchi: eravamo solo a dieci minuti di macchina dai punti sotto bombardamento. Eravamo isolati e siamo riusciti a contattare l’ambasciata e a unirci al convoglio per il trasferimento». Nove pullman che hanno raggiunto la Siria attraverso un lentissimo passaggio dal posto di confine di Al-Abbudieyh. «Ora che sono qui, dopo un viaggio a dir poco massacrante, non mi sembra neanche vero», dice un padre tenendo per mano i figli di 6 e 4 anni: «Temevo per i miei bambini. Il primo pensiero è stato tornare in Italia il più presto possibile».
I passeggeri sono stati sollevati anche solo alla vista «di un aereo italiano - dice il comandante Roberto Barchitta, responsabile del centro di controllo operativo dell’Alitalia -, hanno ringraziato molto ed erano felici di tornare in Italia. A bordo erano stremati, i bambini hanno dormito, c’era una piccola di 11 anni che viaggiava da sola. Il nostro equipaggio, guidato dal comandante Luca Vanzan, è intervenuto in poche ore su base volontaria e siamo pronti a ulteriori voli di emergenza se l’unità di crisi ce lo richiederà».

A Fiumicino gli evacuati sono stati accolti da uomini della prefettura di Roma, in coordinamento telefonico con la Farnesina e il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, della protezione civile, del 118 e da personale Alitalia che ha reimbarcato verso altre destinazioni italiane i passeggeri non romani.

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