"Ogni rancore è spento". Ma ci vuole Freud...

"Qua! Qua si respira!". È il grido nato nelle manifestazioni degli anni Settanta, quando bisognava sfuggire ai candelotti lacrimogeni: anche se adesso è un "medico dei ricchi", Lorenzo ha un passato da contestatore

"Ogni rancore è spento". Ma ci vuole Freud...
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«Qua! Qua si respira!» È il grido nato nelle manifestazioni degli anni Settanta, quando bisognava sfuggire ai candelotti lacrimogeni: anche se adesso è un «medico dei ricchi», Lorenzo ha un passato da contestatore. E allora perché l'asfissia? Per via del romanzo familiare, naturalmente: suo padre è stato un intrallazzatore capace di abbandonare la moglie moribonda e di convolare a nuove nozze in Brasile. In conseguenza di ciò, Lorenzo non si è mai sposato. Ora il ritorno del padre in Italia, in fuga da un mandato di cattura internazionale, promette un giro di vite alla nevrosi: mille dolorini fanno di Lorenzo un ipocondriaco, con l'unico vantaggio di avere a disposizione una clinica privata. E la scena in cui, sicuro di essere a un passo dalla tomba, il protagonista di Ogni rancore è spento (Rizzoli, pagg. 288, euro 19) incenerisce le mazzette di banconote custodite in casa per sottrarle alla rapacità dell'erede - che stavolta, per colmo di ironia, non è il figlio, ma il padre - configura un Molière al cubo: Arpagone più Argante più Alceste.

E allora quand'è che si comincia a respirare? Ma quando il padre muore, ovviamente: rimosso il blocco edipico, il cuore in inverno di Lorenzo vive una stagione primaverile. Ecco apparire Rosalba, la figlia brasiliana del padre. Ecco sopraggiungere Gloria, una collega con la quale c'è del tenero. Ecco, purtroppo, comparire Paolo, un amico diventato ricchissimo vendendo portacontainer. Paolo ha una villa in collina, una scatola piena di morfina e una piscina all'aperto riscaldata; come a dire un utero confortevole, a meno che non sia l'anticamera dell'aldilà.

Beffando un'industria culturale che da cent'anni ci invita a tuffarci nel postumano, Claudio Piersanti continua a scrivere romanzi di disarmante naturalismo e psicologismo, uno più riuscito dell'altro; per staccarlo dai competitori, furbastri e interessati, bastano la sua classe prodigiosa di narratore allucinatorio, l'onestà intellettuale, la riflessione profonda sulla

condizione umana. La morfina di Paolo non tragga in inganno: volevamo essere i nipotini di Burroughs e invece siamo il fantasma dello stesso paziente di Freud, alle prese con i suoi eterni triangoli familiari e sentimentali.

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