Ora le Gallerie d'Italia riscoprono Carena Secessionista del '900

Cento dipinti raccontano la modernità di un artista che interpretò l'estetica delle avanguardie europee

Ora le Gallerie d'Italia riscoprono Carena Secessionista del '900
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Per chi ha studiato sui manuali classici di Storia dell'Arte moderna, la voce Felice Carena equivale a un'immagine simbolo: Natura morta con conchiglie. E, in verità, la natura morta è stata uno dei cavalli di battaglia del pittore torinese che negli anni Venti del Novecento ha navigato tra le correnti che rifiutavano l'accademismo per provare a italianizzare l'estetica delle avanguardie europee. Ma non fu, la natura morta, la sua unica frontiera come era stato per Giorgio Morandi e a dimostrarlo è un'interessante antologica appena inaugurata alle Gallerie d'Italia di piazza Scala, che illustra invece in chiave pressocchè inedita i tanti volti di uno dei protagonisti di quel modernismo italiano ancora non adeguatamente valorizzato. Un regalo agli appassionati del Novecento, dunque, quello di Gallerie d'Italia e del suo presidente emerito Giovanni Bazoli che è anche presidente di Fondazione Cini da cui proviene un nucleo di 33 opere delle oltre cento in mostra in piazza Scala. L'esposizione sviscera il lungo viaggio compiuto dall'artista attraverso le sue esperienze romane, fiorentine e veneziane, che lo portarono via via in contatto con gli esponenti di varie correnti, in particolare il cosiddetto Secessionismo romano che si opponeva tanto al ritorno all'ordine quanto al Futurismo, e che riuniva artisti di diversa estrazione, anche lontanissima, come Gino Rossi, Felice Casorati, Armando Spadini, Plinio Nomellini, Lorenzo Viani, Laurenzio Laurenzi, Ferruccio Ferrazzi, Felice Carena, Giuseppe Carosi e il pittore cremonese Emilio Rizzi. Questi artisti, alla stregua di come avvenne negli anni Trenta con gli esponenti di Corrente, si dimostrarono sensibili come spugne alle avanguardie europee di inizio Novecento, come il simbolismo, l'espressionismo tedesco, i fauve e la Secessione viennese di Klimt, Schiele e Kokoschka. Il preambolo è necessario per comprendere l'eclettismo di un pittore come Carena la cui pittura infatti, come ben esprime l'esposizione milanese, ha spaziato nell'arco della vita dai soggetti simbolisti agli stilemi espressionisti, dai paesaggi metafisici al realismo magico di capolavori come Estate del 1933. Ecco la grandezza, ma forse anche il limite, di un novecentista dall'identità difficilmente riconoscibile, al di là dell'indiscussa qualità pittorica. Ad aiutarci a rivalutarlo è la curatela di quattro critici: Luca Massimo Barbero, Virginia Baradel, Luigi Cavallo e soprattutto Elena Pontiggia, massima esperta italiana di quel periodo. È proprio la Pontiggia a sottolineare l'importanza di restituire al Modernismo un autore ancora oggi collocato nell'alveo del realismo ottocentesco. Al suo mancato riconoscimento, sottolinea Pontiggia, «hanno concorso due fattori: l'errata identificazione dell'artista con il regime fascista, e la sua spiritualità, poco compresa nel secolo dell'eclissi del sacro». Ad ogni modo, è giusto godere di questo inatteso spettacolo di pittura con opere provenienti, oltre che da Fondazione Cini, da numerose collezioni private: dalle composizioni astratte e volumetriche degli anni Venti, come Gli Apostoli e La Pergola ai dipinti sacri del Dopoguerra italiano. I curatori hanno suddiviso l'esposizione in sei sezioni, ognuna dedicata a un periodo specifico della vita dell'artista, «provando a restituire il denominatore comune di tutti i lavori di Carena, ovvero la ricerca di una luce interna agli oggetti. Una luce che non accarezza i corpi, ma si sprigiona da essi, diventando essa stessa forma».

A giudizio di chi scrive, la vera chicca è rappresentata dal nucleo di chine su carta a tema mitologico della collezione Cini, una esplosione di libertà espressiva che sembra rappresentare appieno la personalità creativa di questo grande italiano.

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