Dai fornelli alla tv al secondo libro. Dopo Se vuoi fare il figo usa lo scalogno, il re di Mastechef ha presentato in questi giorni A qualcuno piace Cracco edito da Rizzoli (pag. 252). E anche stavolta, tra le pagine, quello che non ti aspetti dall'alfiere della creatività in cucina: ricette della tradizione regionale italiana, con qualche rivisitazione ma senza mai esagerare.
Che succede, si è pentito e torna ai piatti della nonna?
«La questione è un'altra, voglio dimostrare che la cucina regionale italiana sarebbe dovuta diventare la nostra alta cucina. Con questo libro invito il pubblico non tanto a ritornare alla radici, ma alle cose serie».
Non starà dicendo proprio lei che la cucina creativa è poco seria...
«La creatività e l'innovazione sono importanti, ma le nuove generazioni (anche dei miei colleghi) saltano troppi passaggi e si stanno dimenticando le basi della cucina. È come voler fare un master universitario senza aver fatto le medie...».
Insomma, recuperiamo le nonne...
«Quelle bisognerebbe conservarle in sottovuoto ma putroppo non è possibile. E il salto è quantico, perchè una volta le donne si tramandavano saperi e sapori, oggi invece sono più gli uomini ad avere la passione per la cucina, però gli manca completamente quel background...»
Nel libro una sessantina di ricette da ogni angolo di Italia, aneddoti storici e qualche consiglio cracchiano. È stato difficile selezionare?
«Difficilissimo, perchè dalle Alpi alla Sicilia abbiamo un patrimonio immenso, passiamo dal timballo del Gattopardo al gulash triestino. Il vero problema è riuscire a proteggere questo tesoro e saperlo tramandare, anche all'estero».
Domanda banale: qual è secondo lei il vero segreto della cucina italiana?
«Sono due: un territorio fantastico e una cucina alla portata di tutti ma la migliore possibile. L'italiano riesce a tirar fuori da un pomodoro qualcosa di straordinario e da un caglio del latte una mozzarella inimitabile».
Peccato che non ci vendiamo bene come i francesi...
«Loro sono stati furbi ad inventare l'alta ristorazione ma hanno immolato alla cucina nazionale le proprie tradizioni regionali che pure esistevano. Il risultato però è che nelle case degli italiani si mangia bene, mentre nelle loro così così...».
Però all'estero ci considerano ancora pizza e spaghetti.
«È colpa di noi italiani se ignorano la grande varietà della nostra cultura e anche le evoluzioni di questi anni. Fatto sta che ancora oggi, quando all'estero mi chiedono che tipo di cucina faccio e io rispondo italiana, fanno una faccia strana...».
Tra libri, inviti, convegni e Mastechef in tv, trova ancora il tempo di cucinare?
«Io cucino sempre, sia che voli in Oriente per fare una cena, sia che studi nuove preparazioni per i miei ristoranti. Tutto il resto, tv compresa, è hobby».
A proposito di ristoranti, si accinge ad aprirne un altro.
«Sì, nascerà in una ex segheria di via Meda e si intitolerà Carlo e Camilla in segheria, omaggio semiserio alla casa reale inglese...
Lei ha avuto un figlio un anno e mezzo fa, gli insegnerà a cucinare?
«Chissà, per il momento gli insegno a mangiare bene. A 17 mesi ha già assaggiato anche il piccione...»
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