Vite parallele. Certo non le Vite Parallele di Plutarco che sarebbero tema più impegnato e dignitoso ma, più probabilmente, quelle che avrebbe potuto inserire in qualcuno dei suoi romanzi, il padre di 007, Ian Fleming. Chissà. Immaginiamola pure ciascuno con la propria fantasia, ma in ogni caso, converrete con noi, che è impossibile non ritrovare parecchie analogie tra il caso Augias e una vicenda di un passato nemmeno così lontano, quella che vide come protagonista Ruggero Orfei. Con una piccola, doverosa precisazione. Mentre Corrado Augias ha investito una mezza pagina per proclamare la propria innocenza, ma per non spiegare e fare loffeso per le nostre, sia pur documentatissime, contestazioni. Mentre lui ha scelto di non rispondere alla più semplice (vero o falso?) delle domande e Repubblica lo ha fatto con lui, affidando al solito artigliere, il compito di spargere nuovi veleni, per Ruggero Orfei le cose andarono diversamente. Dovette spiegare, dovette difendersi, fu indagato. Anche se, alla fine, il suo caso venne archiviato. Da un pubblico ministero. Non dal gruppo dei soliti noti, che si sente sempre e comunque in diritto di non dare spiegazioni, salvo poi non perdere unoccasione che è una per attaccare il premier e il suo governo.
Due casi-fotocopia, dunque. Da una parte «Donat»-Corrado Augias, come vi abbiamo raccontato nei dettagli in questi giorni, e dalla stessa parte, un po di tempo fa, Ruggero Orfei, nome in codice «Hefo», presunta spia al servizio dei servizi segreti cecoslovacchi del regime comunista di Husak, reclutato a Praga nel 1987. Funzionario della Stet, intellettuale della sinistra Dc, consigliere per la politica estera del governo durante la presidenza di Ciriaco De Mita negli Anni ottanta. Ad accusare Orfei fu un agente pentito dei servizi segreti cecoslovacchi (gli stessi che oggi accusano Augias) che portò dettagli e riferimenti ben precisi: Orfei girava ai servizi di Praga cecoslovacchi informazioni politiche sullorientamento del governo italiano. È il 5 giugno del 1990 quando la notizia viene a galla. Il direttore del Sismi, lammiraglio Fulvio Martini, invia una comunicazione sulla collaborazione di Orfei con i servizi segreti cecoslovacchi, al premier dellepoca, Giulio Andreotti. Nella sua nota Martini riferisce che nel dossier trasmesso dalle autorità cecoslovacche al Sismi, figurano oltre a Ruggero Orfei anche un docente universitario emiliano e tre tecnici di unindustria aeronautica. Andreotti si prende la pausa estiva per riflettere e poi, a settembre, con una comunicazione al Parlamento annuncia che i documenti che gli ha fornito Martini sono autentici e che la colpevolezza di Orfei dovrà essere accertata dalla magistratura. La notizia, sparata con grande enfasi dallEspresso, fa lo stesso effetto di un macigno in uno stagno e viene accolta con reazioni contrastanti dal mondo politico. Ruggero Orfei è offeso e indignato: «Mi sembra una follia - dichiara allEspresso - la politica estera è stata per anni la mia specializzazione, ho parlato in pubblico in una decina di occasioni, non sono al corrente di alcun segreto. O è una gran balla o è una montatura contro De Mita». Fatto sta che lammiraglio Martini, direttore del servizio segreto militare, dopo aver informato il presidente del Consiglio Andreotti, invia un rapporto al procuratore generale di Roma Filippo Mancuso perché apra uninchiesta e faccia chiarezza sulla vicenda. Le indagini vanno avanti per oltre un anno e, nel novembre del 1991, il pm Michele Coiro scagiona Orfei dallaccusa di spionaggio a favore della Cecoslovacchia e chiede larchiviazione del caso. La sentenza solleva un polverone e innesca voci contrastanti e ironiche tra esponenti dei vari partiti. Persino il presidente della Repubblica dellepoca, Francesco Cossiga, ha ricordato al Giornale laltro giorno, le considerazioni che fece al riguardo subito «lassoluzione» di Orfei («la cosa che mi fece più arrabbiare, era che i suoi contatti avvenivano nella chiesa di San Claudio, che frequentavo anchio.
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