La pace di facciata è già finita. Il Vaticano allo scontro con la Cina

Pechino nomina un vescovo di regime e così offende il Pontefice. La Santa Sede attacca: "Grave violazione della disciplina cattolica"

RomaTornano in alto mare i rapporti tra la Santa Sede e la Cina: dopo quattro anni di relativa quiete e una decina di nuove nomine vescovili tacitamente concordate, sabato scorso è stato consacrato un nuovo vescovo a Chengde (provincia di Hebei), Giuseppe Guo Jincai, senza il consenso del Papa. Ieri la Sala Stampa vaticana ha pubblicato una nota di protesta, dura, ma che non chiude le porte al governo di Pechino, pur mettendolo di fronte alle sue responsabilità.
Benedetto XVI «ha appreso la notizia con profondo rammarico», poiché l’ordinazione episcopale «è stata conferita senza il mandato apostolico e, perciò, rappresenta una dolorosa ferita alla comunione ecclesiale e una grave violazione della disciplina cattolica». Nel passaggio successivo si legge: «È noto che, negli ultimi giorni, diversi vescovi sono stati sottoposti a pressioni e a restrizioni della propria libertà di movimento, allo scopo di forzarli a partecipare e a conferire l’ordinazione episcopale. Tali costrizioni, compiute da autorità governative e di sicurezza cinesi, costituiscono una grave violazione della libertà di religione e di coscienza». «La Santa Sede - aggiunge la nota - si riserva di valutare approfonditamente l’accaduto, tra l’altro sotto il profilo della validità e per quanto riguarda la posizione canonica dei Vescovi coinvolti».
Il Vaticano dunque sa che gli otto vescovi consacranti sono stati in qualche modo obbligati a partecipare e sta indagando per capire se l’ordinazione possa essere invalida, in quanto avvenuta sotto costrizione. Le conseguenze, spiega la nota, si ripercuotono «dolorosamente» in primo luogo sul neo-vescovo Guo Jincai, che si trova «in una gravissima condizione canonica» e si espone «alle sanzioni previste». L’ordinazione, continua il Vaticano, «non soltanto non aiuta il bene dei cattolici di Chengde, ma li mette in una condizione assai delicata e difficile, anche sotto il profilo canonico, e li umilia, perché le autorità civili cinesi vogliono imporre un loro pastore che non è in piena comunione» né con il Papa né con gli altri vescovi del mondo.
Più volte negli ultimi mesi la Santa Sede aveva comunicato alle autorità cinesi «la propria opposizione» all’ordinazione di Guo Jincai. Ciononostante, le autorità cinesi «hanno deciso di procedere unilateralmente, a scapito dell’atmosfera di rispetto, faticosamente creata con la Santa Sede... Tale pretesa di mettersi sopra dei vescovi e di guidare la vita della comunità ecclesiale non corrisponde alla dottrina cattolica, offende il Santo Padre» e la Chiesa.
Infine, nel comunicato, ricordando l’importante Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi (2007), nella quale il Papa manifestava la sua disponibilità al dialogo e il suo rispetto per il governo Pechino, il Vaticano critica le autorità politiche perché «lasciano alla dirigenza dell’Associazione Patriottica cattolica cinese, sotto l’influenza del sig. Liu Bainian, assumere atteggiamenti che danneggiano gravemente la Chiesa cattolica e ostacolano il dialogo». Il vero bersaglio del comunicato, chiamato per nome, è dunque il vicepresidente e leader dell’Associazione Patriottica, l’organismo filogovernativo che pretende di controllare la Chiesa cinese.

Uno dei motivi scatenanti della decisione da parte di circoli del potere di cinese di rompere l’equilibrio creatosi negli ultimi anni è la volontà di nominare uomini filogovernativi alla guida degli organismi – Collegio episcopale e Associazione patriottica – le cui cariche di vertice sono vacanti e verranno rinnovate a breve.

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