Il pacifismo di D’Alema studiato per salvare Prodi

Le dichiarazioni del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, secondo cui è prudente prepararsi a una guerra in Iran, hanno scandalizzato il suo omologo italiano D’Alema che lo ha poco diplomaticamente invitato a stare zitto. Povero D’Alema: neanche di Kouchner, già «medico senza frontiere» e uomo vicino alla sinistra ci si può più fidare. Ma in realtà è di D’Alema - e Prodi, che sull’Iran la pensa come lui - che l’Occidente ha smesso di fidarsi da tempo.
Prima di recitare una parte non sua nel disperato tentativo di tenere in piedi il governo Prodi, compiacendo la sinistra radicale per evitare brutti scherzi in Senato, D’Alema non è mai stato un pacifista senza se e senza ma. Ha organizzato l’intervento italiano in Kosovo ed è stato favorevole a quello in Afghanistan. Certamente è stato contrario alla guerra in Irak, ma con ragioni che dovrebbero precisamente renderlo favorevole a un intervento in Iran.
Anzitutto, D’Alema ha sostenuto che in Irak le armi di distruzione di massa non c’erano e Bush mentiva. Se ci fossero state, una guerra con timbri e bolli dell’Onu sarebbe stata legale e legittima. D’Alema - sull’onda del Partito Democratico americano - quando dice «armi di distruzione di massa» intende «armi nucleari». Le convenzioni internazionali distinguono tre tipi di armi di distruzione di massa: nucleari, chimiche e batteriologiche. È del nucleare di Saddam che non si sono trovate le prove. Certamente il tiranno di Baghdad disponeva di armi chimiche con cui gasava i curdi, come testimoniano fosse comuni e efferatezze varie. Quanto alle armi batteriologiche il necessario per decimare con un’epidemia una città come Milano può essere contenuto in una valigetta, facilmente trasportabile. D’Alema, dunque, si emoziona solo di fronte al nucleare. Ed è del nucleare che si parla in Iran. Non servono prove, c’è la confessione: Ahmadinejad rivendica il diritto ad avere la bomba islamica e a usarla per distruggere Israele una settimana sì e l’altra pure.
I Democratici americani - acriticamente ripresi da D’Alema - sostengono pure che non c’era bisogno di invadere l’Irak. Per impedire che destabilizzasse tutta la regione bastava bombardare chirurgicamente le sue installazioni militari. La soluzione non sarebbe piaciuta al popolo iracheno, particolarmente alla maggioranza sciita e alla minoranza curda, contro cui Saddam si sarebbe sfogato come già dopo la sconfitta del 1991. Ma non è dell’Irak che ora si parla. Nessuno pensa a invadere l’Iran con truppe di terra. Si tratterebbe di bombardamenti mirati, come quelli che forse Israele ha già cominciato in quella Siria che ha sospetti traffici nucleari con la Corea del Nord.
Escludere i bombardamenti per principio serve a imbaldanzire gli ayatollah di Teheran, i loro clienti terroristi di Hamas ed Hezbollah, e Putin che gioca anche la carta iraniana per dar fastidio agli Usa. D’Alema ci guadagna molto meno.

Neppure gli applausi di un Grillo, ma forse il soccorso rosso di Giordano e Diliberto per l’accanimento terapeutico con cui cerca di tenere in vita un governo che assomiglia sempre più a uno yogurt di cattiva qualità. Prima era scadente: adesso è scaduto.

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