Al Palazzo Ducale le dame dipinte da suor Lucrina

Sorella del più noto Domenico Fetti, si rivelò anch’essa splendida ritrattista

Volti e respiri, architetture, scale, vegetazione, nobili e plebei, fonti di luce fioca o pieno giorno. E l’uso del colore che varia, che non conosce legge ma solo necessità, voglia di esprimere visivamente anime e momenti, passando da un cromatismo acceso al monocromo. Domenico Fetti (Roma, 1589 - Venezia, 1623) è vissuto troppo poco per riuscire a dimostrare intera la sua grandezza di pittore. Ma i suoi trentaquattro anni sono stati sufficienti a rivelare un eccezionale talento di ritrattista.
Un bellissimo esempio sono gli Undici Apostoli (tutti tranne Giuda), espressioni immaginate, colte di sorpresa dopo la morte di Cristo, in fila in una delle sale del Palazzo Ducale di Mantova. Da Pietro (riconoscibile dal consistente mazzo di chiavi) a Giovanni si segue una carrellata di facce vere, generazioni distanti, uomini con la fatica addosso, senza la retorica tipica dell’iconografia di santi e martiri. Persone di venti, quaranta, cinquant’anni chiamate a portare la buona novella, che partono e hanno ancora sul corpo l’odore delle reti da pesca. Tozzi o smilzi, calvi o ricciuti, rugosi o con una pelle fresca, tutti con un fermento interiore.
La pittura di Domenico Fetti trova terreno fertile a Mantova, alla corte dei Gonzaga, dove era arrivato da Roma con il padre Pietro e la sorella Giustina, pittrice anche lei e allieva del fratello. Mentre Domenico dipingeva le Parabole Evangeliche (tra il 1619 e il 1621) su commissione del Cardinale Federico Gonzaga, Giustina, entrata con il nome di Lucrina nel convento francescano di Sant’Orsola nel 1614, immortalava le donne della dinastia Gonzaga. Celebre per l’iconografia femminile, Lucrina continuava a vivere la sua passione artistica dentro le mura del convento, avendo appreso le tecniche del mestiere prima di entrare in clausura.
Eleonora I, Margherita, Eleonora II, Caterina de’ Medici, a figura intera, rigide nei loro pesanti abiti di broccato, ornate di monili sfilano a Palazzo Ducale. È bravissima suor Lucrina nel rendere i drappeggi, le stoffe, le pellicce e i velluti, i damascati, le carni, la morbidezza della luce diffusa, i riflessi dei capelli. Un amore maniacale per i tessuti ricchi, quasi a voler fissare sulla tela la bellezza di vestiti che lei non avrebbe mai potuto indossare. Donne potenti e celebrate, austere e morbide, indulgenti e impenetrabili.
Lucrina Fetti è vissuta fino al 1650 (o ’51), quasi trent’anni più di Domenico, consacrato anche lui alla vita religiosa, molto presto. Entrambi hanno dipinto soggetti sacri investendoli d’umanità. Per Domenico un apostolo o un attore (splendido il ritratto di Francesco Andreini, comico dell’arte dallo sguardo vigile) avevano la stessa concretezza: chiavi per accedere al Regno dei cieli o maschera per regalare vite e storie nuove, erano pari.

Attraversando le sale di Palazzo Gonzaga, si raggiunge la Moltiplicazione dei pani e dei pesci, gruppi di gente, Cristo al centro. Volti di vecchi, occhi umidi di donne mature, bambini, piedi sporchi. Realismo accecante di chi è lì, partecipe di un miracolo che è cibo arrivato all’improvviso in un giorno di sole su un colle.

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