Partita vinta a tavolino

«Una solitudine dopo l’altra,/ di padre in figlio,/ rotola la sfera/ dal cuoio al mouse./ Ma non c’è gusto a violare/ una Rete senza buchi». Valerio Magrelli ci perdonerà se, contagiati da lui, ci siamo concessi un condensato di recensione in versi (se si possono chiamare versi) del suo nuovo libro targato Einaudi. Addio al calcio, s’intitola, costa 17 euro e le pagine sono... beh, la quantità esatta delle pagine non vogliamo nemmeno saperla, perché non sono numerate, bensì scandite da 90 minuti, e divise in due tempi, come ogni partita. E, proprio come in ogni partita, ci sono minuti che durano un istante e altri che racchiudono anni. Starà al lettore giocarsi i supplementari e i calci di rigore.
Magrelli ama profondamente il calcio, bastano tre righe per capirlo. E allora, perché quell’«addio» nel titolo? Perché l’autore è un classe ’57, quindi il suo calcio è nato in bianco e nero, con le gambe dei terzini identiche a quelle dei ragionieri, e quando, «come un insetto nell’ambra, la voce del giornalista sembra essersi cristallizzata in una prosa che vuole essere insieme arguta e forbita, popolare e tecnica». Ovvio che nel calcio attuale si trovi, alla Pippo Inzaghi, perennemente sul filo del fuorigioco, anzi quasi sempre oltre la linea immaginaria tracciata da usi e costumi divenuti sempre più volgari, monotoni, arroganti. Vogliamo dire impoetici? Diciamolo, visto che a parlare è un poeta.
Una sorta di «miniaturizzazione», dice Magrelli, e anche, aggiungiamo, un desiderio di conservazione e forse di patologica coazione a ripetere, determinò fra le masse pallonare (e pare già passato un secolo) la gemmazione del calciotto (calcio a 8) dal calcio; poi del calcetto (calcio a 5) dal calciotto; poi del calcio-balilla dal calcetto. Sempre di calci, sputi e colpi di testa, direbbe il nostalgico compagno Paolo Sollier, si trattava: roba materiale, organica, fango, sudore, erba. Invece ora siamo al calcio transgenico da Play Station, quello praticato dal figlio dell’autore. Il quale figlio, come si legge al primo minuto del libro, da bambino «aveva paura del pallone... Paura: paura». E infatti... quando oggi il ragazzo viene rapito dall’infernale macchinetta, al buon papà «ricorda la cavia di un qualche esperimento sconosciuto, preda di una sostanza psicotropa».
Ma non azzardatevi a estrarre, all’indirizzo di Magrelli, il cartellino giallo destinato ai simulatori colti nel fallo di recitare una sofferenza inesistente. Lui è davvero una vittima delle telecronache di Caressa, dei commenti di Galeazzi, del salotto di Controcampo, della mucca-Champions gonfiata con gli estrogeni sponsoriali. Tuttavia, pur consapevoli di fargli un torto, proponiamo, come si dice oggi, gli high lights del suo match con la memoria attraverso dieci parole chiave.
PROMESSA Chi è il presunto campione in erba? Con ogni probabilità soltanto «un imitatore del destino».
SOPRANNOME Un suo vecchio amico con i piedi a banana non poteva che esser detto «Chiquita 10 e lode».
SCONFITTA Ancora parlando del figlio: «Ricordo quelle lacrime con un nodo in gola, il nodo che troviamo nelle piante, quando il tronco si arresta, si attorciglia, per poi ricominciare la sua crescita».
TALK SHOW Sono «presepi», e «il calcio è come il midrash nella cultura ebraica, ossia il commento rabbinico alla Bibbia: un’attività che vive della sua indefinita ruminazione».
SOSPENSIONE Si rievoca il giorno in cui, durante una partita giocata accanto a un fiume, all’improvviso piovve un pesce in campo. Uno a zero per Breton.
INFORTUNIO L’uomo a terra con tutti gli altri intorno è «come un preparato sul vetrino». Poi lo portano fuori: «sembra un corteo funebre, e a volte è il funerale della tua adolescenza».
CARRIERA Concordiamo: quando ti danno del «lei» in campo, vuol dire che sei vecchio.
GOL «Colpire i pali è più bello che segnare una rete». Abbatterli è una prova di forza inaudita.


CAMPO Che bello, quando usavamo i maglioni come pali! «Era un segno allo stato puro, un gesto zen attorno a cui si disponeva il gioco come una sacra rappresentazione».
SQUADRA Giocare in piazza ti riempiva di un «sentimento urbano pre-moderno».
E adesso, dài Magrelli, smettila di scrivere e scendiamo in strada a fare due passaggi.

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