Pastore, viaggio all’interno della riforma costituzionale

I «Frammenti di attività parlamentare» di uno dei quattro «saggi» incaricati

Se c’è un uomo pacioso, aperto al dialogo, questi è il senatore di Forza Italia Andrea Pastore. Presidente della commissione Affari costituzionali, relatore sulla riforma costituzionale, per dovere d’ufficio si è dovuto sorbire per ben tre volte, quanti sono stati i passaggi della predetta riforma al Senato, le critiche dell’opposizione. La quale, anziché proporre valide alternative, ha preferito presentare molti emendamenti sovente in conflitto tra loro. A questo punto Pastore, che pure ha la pazienza di Giobbe, ha pensato bene di raccogliere in volume (Frammenti di attività parlamentare, Edizioni Tracce, Pescara, pagg. 250, euro 13) i suoi più significativi discorsi parlamentari e suoi interventi sulla stampa in argomento.
Si è ironizzato sulla circostanza che in quattro e quattr’otto, tra una buona mangiata e una bella bevuta, in una ridente località di montagna come Lorenzago in piena estate, quattro signori abbiano potuto redigere uno schema di riforma costituzionale comprendente decine e decine di articoli. Oltre ai senatori Nania, D’Onofrio e Calderoli, lassù sulle montagne c’era pure Pastore. È vero che i quattro «saggi» se la sono cavata in un battibaleno. Ma è altrettanto vero che non sono partiti dal nulla. Hanno fatto tesoro delle proposte avanzate da un ventennio a questa parte, dalla commissione bicamerale presieduta dal liberale Aldo Bozzi in poi. E in particolare di quelle sfornate dalla commissione D’Alema. Perciò si può sostenere che il loro parto è stato in buona misura il risultato di un «taglia e cuci».
Ci si attendeva che il centrosinistra, pago di veder recepite le proprie iniziative ai tempi in cui stava al potere, dicesse un «sì» o quanto meno un «ni» al progetto. E invece si è messo di traverso e ha fatto le barricate. Perfino su quegli articoli che ha contribuito a modificare grazie ai suoi emendamenti. La figura del primo ministro è stata sbertucciata di continuo. Si è gridato (un po’ come in Francia nel 1958, quando de Gaulle disse che la ricreazione era finita e raccattò il potere dando vita alla Quinta Repubblica) al colpo di Stato permanente. Ma Pastore ha buon gioco nel replicare che il premierato è una forma di governo consolidata in Europa. Siamo noi la solita mosca bianca. Vittime per troppo tempo di quel complesso del tiranno che, dopo una dittatura ventennale, dominò i lavori dell’Assemblea costituente. E, d’altra parte, Pastore sa bene che il relatore sulla forma di governo ai tempi della commissione D’Alema, il diessino Cesare Salvi, aveva previsto un premierato all’inglese dotato di poteri ben maggiori di quelli contemplati dalla riforma berlusconiana.
Quanto al federalismo, le critiche dell’opposizione si elidono a vicenda. C’è chi ha detto che con questa riforma la Casa delle libertà vuole attentare alla Repubblica una e indivisibile. E c’è chi al contrario ha sostenuto che così c’è il rischio di ripristinare un centralismo vecchia maniera. Non è vera né l’una né l’altra affermazione, e Pastore lo dimostra. Una volta varata dal Parlamento la riforma costituzionale, tra pochi mesi ci sarà il referendum confermativo. Prima di recarsi in cabina, gli elettori farebbero bene a leggersi questo agile volumetto del senatore Pastore.

Che ha il merito di smontare a una a una le leggende metropolitane dell’opposizione. Alla quale la riforma non piace semplicemente perché il governo Berlusconi è riuscito là dove, ai tempi della commissione D’Alema, essa fa fallito.
paoloarmaroli@tin.it

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