Dal Pd ai finiani, ecco chi tira la giacca a Napolitano

Il democrat Maran vuole un esecutivo senza Cav Fli si dimentica il "Sa cosa fare" di Fini e attacca il Pdl

Roma La giacchetta ce l’ha, bella elegante come conviene a un gentiluomo all’antica come lui. La questione è: sarà di un tessuto abbastanza robusto? Perché gli strattoni a cui sarà sottoposto il doppiopetto di Giorgio Napolitano, di professione presidente della Repubblica, nei giorni che condurranno al fatidico passaggio parlamentare del 14 dicembre, sono già molti e violenti e non potranno che aumentare. E chissà se basterà il monito di venerdì, quando una nota ufficiosa, attribuita a generici «ambienti del Quirinale» ma fedele interprete del pensiero di Napolitano, ha voluto zittire tutti i suggeritori: il Colle ha le sue prerogative e l’inquilino le conosce benissimo. A provocare la soave ma ferma precisazione l’esercizio di telepatia tentato poche ore prima da Gianfranco Fini: «Il capo dello Stato sa cosa fare». Ovvero: niente urne e largo al governo dei perdenti, quindi senza Berlusconi. Un’uscita che aveva irritato il Quirinale, ma che era stata poi oscurata - più per la forma che per la sostanza - dalla brusca uscita di Denis Verdini, coordinatore del Pdl: «Delle prerogative del Colle ce ne freghiamo». Verdini aveva poi precisato, contrariamente a Fini, ma si era guadagnato tutti i titoli, consentendo alle sinistre e al cosiddetto Terzo polo di mischiare le carte e di gridare all’assalto del Colle.
L’impressione è che Napolitano sia ben vaccinato contro i tiratori di giacchetta. E che questi, come batteri, dovranno assumere forme sempre diverse e più evolute per essere efficaci. Già s’avanza, infatti, la schiera degli adulatori preventivi: quelli, per intenderci, a cui qualsiasi cosa deciderà Napolitano andrà bene. Purché, sia chiaro, si tratti di quello che loro hanno a cuore. A questa schiera appartengono ad esempio gli esponenti del Pd. Che la loro road map l’hanno già in mente: via Berlusconi, niente voto e governo di «responsabilità», come lo definiscono loro. Sentite per dire Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati Pd: «Siamo certi che il governo di Arcore abbia finito la sua strada e andremo, come tutte e altre forze che siedono in Parlamento a chiedere al capo dello Stato di valutare la possibilità di un governo, il più largo e responsabile possibile, ma senza Berlusconi, capace di affrontare le emergenze e cambiare la legge elettorale». Vannino Chiti, vicepresidente del Senato e commissario del Pd del Lazio, invece punta solo sulla captatio benevolentiae: «Voglio fare un saluto rispettoso al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - si scappella Chiti - sono vergognosi gli attacchi nei suoi confronti. Il presidente considera la Costituzione il suo vangelo laico e bisogna rispettare la sua figura oltre che le sue prerogative e conclusioni in caso di crisi». Naturalmente il bersaglio è il goffo scivolone di Verdini, non la ben più scientifica invasione di campo di Fini. Ma non stiamo certo qui a sorprenderci.
E i futuristi? Facendo onore al loro nome mostrano di leggere nei fondi del caffè preparato dai maggiordomi del Quirinale. «Non credo che il presidente della Repubblica sia cedevole a questo genere di polemiche e di intimidazioni», garantisce il ventriloquo Benedetto Della Vedova, vicecapogruppo dei finiani alla Camera. E alla tentazione di fare da interprete a Napolitano non sfugge, forse a causa del cognome, Osvaldo Napoli, vice presidente dei deputati Pdl: «Sappiamo già che cosa Napolitano farà nel caso il governo dovesse essere sfiduciato.

Lo sappiamo perché lo ha già fatto». Napoli si riferisce a quando nel 2006 il presidente confermò «a Romano Prodi il mandato che gli era stata tributato dagli elettori». Il sarto del Quirinale è allertato: avrà molto da fare nei prossimi dieci giorni.

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