Pechino attacca il Dalai Lama e apre a Taiwan

Inflessibili sul Tibet, disponibili con i secessionisti di Taiwan. Il presidente cinese Hu Jintao affronta per la prima volta la questione tibetana e detta la linea. Se sul Tibet non sono ammessi sconti, con Taiwan è possibile rompere il gelo e avviare un nuovo dialogo. La strategia è chiara. Puntare tutto su Taiwan allontanando il rischio di un conflitto serve a tranquillizzare gli Stati Uniti e quindi, come suggerirebbe il “grande timoniere”, a togliere acqua e appoggi alla causa tibetana. Non a caso Hu Jintao concentra nella stessa giornata il primo discorso sulla questione tibetana ed un incontro inaspettatamente caloroso con il nuovo vice presidente di Taiwan Vincent Siew. Se il nuovo corso con Taiwan resta da verificare la chiusura sul Tibet è netta e vigorosa. «La questione era e resta un problema interno» sancisce Hu Jintao nell’incontro con il premier australiano Kevin Rudd in cui liquida come rivolta separatista la protesta tibetana. «Il conflitto con la cricca del Dalai Lama non è un problema né etnico, né religioso, né di diritti umani - aggiunge - ma prevede semplicemente la salvaguardia dell’unità nazionale da una parte e la divisione della madre patri dall’altra». Anche la dura repressione della rivolta è – secondo Hu - giustificata dalle 20 vittime causate dai rivoltosi. «Nessun governo responsabile – sostiene il presidente cinese - sarebbe rimasto a guardare di fronte a crimini che violano i diritti umani, mettendo a repentaglio l’ordine sociale, la vita, la sicurezza e le proprietà dei cittadini». Hu Jintao conclude tentando ancora una volta di scaricare sul Dalai Lama la responsabilità di incidenti, violenze e blocco dei negoziati. «La barriera che impedisce i contatti non sta dalla nostra parte, ma da quella del Dalai Lama. Se fosse veramente sincero lo dimostrerebbe con i fatti non appena smetterà di tentar di dividere la madrepatria, istigare alla violenza e sabotare le Olimpiadi saremo pronti a ristabilire i contatti e dialogare con lui».
Dopo aver utilizzato l’incontro con il premier australiano per definire la posizione cinese sul Tibet Hu corre a stringere la mano del vice presidente di Taiwan Vincent Siew arrivato sul territorio di Pechino per una conferenza regionale. Qui il cambio di registro è netto e vigoroso. Il primo a notarlo è lo stesso Siew accennando ai risultati raggiunti nel corso di un «colloquio pulito, amichevole e armonioso».
L’incontro segnala - dopo otto anni di rapporti tesissimi con l’ex presidente di Taiwan Chen Shui bian - la disponibilità di Pechino nei confronti del presidente Ma Ying jeou eletto, assieme al vice Siew, nelle elezioni dominate dal Kuomintang.

La disponibilità di Pechino è anche un indiretto segnale agli Stati Uniti visto che un attacco a Taiwan costringerebbe Washington a difendere l’indipendenza dell’isola occupata nel 1949 dagli ultimi resti dell’esercito anticomunista di Ciang Kai Shek.

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