Avvelenamento e porfiria: la spiegazione della "pazzia" di Giorgio III

Il marito della regina Carlotta avrebbe sofferto di disturbi mentali per gran parte della sua vita, ma oggi gli storici ritengono che le cause di questi squilibri non siano da ricercare nella psiche del sovrano

Avvelenamento e porfiria: la spiegazione della "pazzia" di Giorgio III

La serie “Bridgerton” e lo spin-off "La Regina Carlotta. Una storia di Bridgerton" hanno reso celebri i personaggi storici di Re Giorgio III (1738-1820) e della regina Carlotta (1744-1818). Il primo è ricordato per la sua follia, la seconda perché potrebbe essere stata (non c’è accordo tra gli studiosi) la prima Regina di colore della Gran Bretagna. Il caso che riguarda il sovrano, però, è piuttosto inquietante ed è uno di quei misteri su cui gli storici dibattono con vigore ancora oggi, poiché offre diverse possibilità, tutte con un certo grado di attendibilità.

Il figlio del principe di Galles

Giorgio III nacque in una famiglia che non poteva esattamente essere definita serena. Suo padre, il principe di Galles Federico di Hannover e suo nonno, Giorgio II, avevano opinioni molto diverse sulla gestione del governo e l’amministrazione del regno, divergenza caratteriale e di vedute che era alla base dei loro scontri. Il futuro Giorgio III, però, trascorse un’infanzia tranquilla e felice. La svolta decisiva, ma inaspettata, nella sua esistenza arrivò nel 1751, quando suo padre morì a causa di un’infezione al ginocchio.

Il 19 aprile di quell’anno Giorgio II nominò il nipote principe di Galles e lo prese sotto la sua ala protettrice, sottraendolo all’influenza della madre, Augusta di Sassonia Gotha-Altenburg. La donna, infatti, aveva un rapporto molto stretto con il figlio ed era sempre stata ostile al suocero, proprio come il suo defunto marito Federico di Hannover. Nel 1760, quando Giorgio II morì, il nipote divenne il nuovo sovrano d’Inghilterra. C’era solo un piccolo problema: Giorgio III non era ancora sposato, dunque non aveva eredi legittimi: una situazione abbastanza inusuale che preoccupava la corte, poiché metteva a rischio la sopravvivenza della dinastia. Era necessario trovare una moglie che avesse due requisiti imprescindibili: essere una nobile e professare la religione protestante.

Dopo un’attenta selezione la scelta cadde sulla diciassettenne duchessa Carlotta di Maclemburgo-Strelitz. Era un’anonima aristocratica tedesca, la sua famiglia non coltivava particolari ambizioni politiche, né aveva stretto alleanze diplomatiche che potessero pregiudicare l’unione con Giorgio III. Il matrimonio venne celebrato il 7 settembre 1761, sei ore dopo l’arrivo di Carlotta in Inghilterra. Fin qui la vita del monarca non fu molto diversa da quella di altri principi ed eredi al trono britannici ed europei. Solo quattro anni dopo le nozze, però, la sua storia prese una piega inaspettata: il Re diede i primi segni di follia.

Il folle Giorgio III

Nel 1765 Giorgio III avrebbe avuto la prima, breve crisi causata da uno squilibrio mentale. Nel 1788 le sue condizioni psicologiche sarebbero peggiorate al punto da rendere necessaria l’apertura in Parlamento del dibattito sulla possibilità di una reggenza, da affidare al principe di Galles Giorgio (futuro Giorgio IV). Il Re, però, si ristabilì e la questione venne accantonata. Temporaneamente, almeno. Sua Maestà, infatti, era soggetto a ricadute che divennero sempre più frequenti e gravi. Il magazine Le Scienze parla di cinque episodi in totale.

Durante questi periodi di alterazione, di totale assenza di lucidità, pare che Giorgio III parlasse per ore, fino a perdere la voce, dicendo frasi sconnesse e senza senso e addirittura aggredisse i suoi familiari. Sembra anche che alternasse momenti di grande vitalità a fasi di cupa depressione, che fosse nervoso, irritabile, avesse allucinazioni e convulsioni. Purtroppo non è possibile descrivere meglio la situazione. Le fonti parlano di “pazzia”, ma il termine è molto generico, non spiega le cause, non approfondisce davvero i sintomi, rendendo molto difficile una diagnosi precisa. All’epoca, poi, i medici non avevano le stesse conoscenze scientifiche di cui disponiamo noi oggi, di conseguenza non esistevano farmaci mirati e tantomeno protocolli di cura. Per esempio a Giorgio III sarebbe stati fatti dei salassi, pratica del tutto inefficace, ma molto diffusa nelle epoche passate.

Porfiria

Studi recenti sulla vita e sui tracolli psicologici di Giorgio III hanno portato gli studiosi a ipotizzare che il Re fosse affetto da porfiria. Questo nome, in realtà, comprende diverse malattie metaboliche, ereditarie e rare la cui caratteristica principale è l’alterazione degli enzimi preposti alla sintesi dell’eme (che dà al sangue il colore rosso). L’eme è il componente principale di proteine come l’emoglobina (che svolge la funzione fondamentale del trasporto di ossigeno). Tra i sintomi della porfiria, che ha effetti sul sistema nervoso, ma anche sulla pelle, vi sono febbre, elevata frequenza cardiaca, pressione alta, dolori addominali e stati confusionali.

La malattia, di solito, emerge in età adulta e questo spiegherebbe la ragione per cui Giorgio III, durante l’infanzia e l’adolescenza non ne avrebbe sofferto (ma il condizionale è d’obbligo). La porfiria offrirebbe anche una valida motivazione all’instabilità psicologica del sovrano. Tuttavia proprio la scarsità e la laconicità delle notizie precludono la possibilità di avere delle certezze in merito.

La teoria dell’avvelenamento

C’è anche un’altra teoria, o meglio, una teoria complementare, perfino consequenziale a quella della porfiria, che potrebbe chiarire con maggiore precisione l’origine dei disturbi di Re Giorgio III: l’ipotesi dell’avvelenamento. Analizzando un campione di capelli del sovrano un team dell’Università di Kent trovò un’elevata concentrazione di arsenico. Per capirne l’origine i ricercatori esaminarono i resoconti del medico di corte, scoprendo che questi aveva somministrato al regale paziente il tartaro emetico.

Si tratta di un farmaco che contiene l’antimonio sostanza, scrive Le Scienze, “che può essere facilmente contaminata da arsenico”. Nel 2005 il team dell’Università di Kent pubblicò su The Lancet i risultati di questa ricerca e Martin Warren, portavoce della squadra, dichiarò: “La presenza di arsenico nei capelli del Re fornisce una spiegazione plausibile per la lunghezza e la gravità dei suoi attacchi e la contaminazione dei farmaci è la probabile fonte di questo arsenico. Ipotizziamo che l’esposizione all’arsenico abbia esacerbato gli attacchi di porfiria in un individuo già predisposto geneticamente”.

La vicinanza di Carlotta

Nel 1811 il Re, ormai prostrato dalla malattia, dovette accettare la reggenza del figlio, che sarebbe durata fino alla sua morte. Giorgio III, però, non fu mai solo, né abbandonato a se stesso. Accanto a lui rimase, soprattutto nei momenti più difficili e nonostante un certo timore, la regina Carlotta. Infatti, come scrisse nel 1788 Francis Burney, assistente della sovrana citato da National Geographic Italia: “La Regina è quasi sopraffatta da un segreto terrore. Sono colpito…nel vedere gli sforzi che ella fa per mantenere la serenità”.

Il matrimonio tra Giorgio III e Carlotta poteva dirsi riuscito, benché fosse combinato. Al loro primo incontro il Re sarebbe rimasto deluso dalla futura sposa, ma col tempo questa ritrosia si sarebbe trasformata in amore. Entrambi si resero conto di avere molte affinità, per esempio la passione per la botanica. Questi punti in comune favorirono la curiosità reciproca, li aiutarono ad avvicinarsi l’uno all’altra, a conoscersi. Il loro non “fu” un matrimonio felice, ma “divenne” tale con gli anni. Del resto la coppia ebbe 15 figli e il sovrano non ebbe mai un’amante, caso più unico che raro nelle monarchie europee.

Purtroppo, però, non vi fu alcun lieto fine. Quando la regina Carlotta morì, nel 1818, Giorgio III sarebbe stato così devastato dalla pazzia da non rendersi neppure conto di aver perso per sempre la compagna di tutta la sua vita.

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