da Milano
Il governo kazako scopre le carte nella disfida con Eni sul petrolio del Kashagan. A parlare è il primo ministro Karim Masimov, secondo nella gerarchia del Paese dopo il padre della patria, Nursultan Nazarbaiev. In mattinata rende esplicita una richiesta: la compagnia locale Kazmunaigaz dovrà diventare co-operatore del consorzio Kco, di cui finora Eni è stata solitaria capofila. Il governo di Astana vuole dunque più voce in capitolo; il che non si traduce automaticamente in un corrispondente aumento della quota nel consorzio. Oggi a farne parte sono in sei: le partecipazioni maggiori (18,52%) sono di Eni, della francese Total e dellamericana ExxonMobil; segue un altro gruppo americano, ConocoPhillips con il 9,26%; Kazmunaigaz e i giapponesi di Inpex hanno l8,33%. A Eni il contratto di base (tecnicamente va sotto il nome di production sharing agreement) affida lincarico di gestire il progetto. Ma con laccordo delle parti in causa la gestione potrebbe essere allargata senza variazioni nei rapporti azionari.
La mossa di Astana è stata accolta bene, almeno ufficialmente, dal gruppo italiano. Nel comunicato di risposta a Masimov Eni esprime «soddisfazione per il tenore delle dichiarazioni del premier» e conferma la sua «disponibilità ad affrontare tutti i temi proposti insieme con i partner del consorzio». Parole che sembrano indicare, dopo lo stallo apparente dei giorni scorsi, una prima promettente direzione delle trattative. O almeno questa è stata limpressione della Borsa. Il titolo del Cane a sei zampe è stato, dopo Seat, il migliore dellindice S&P Mib con un guadagno dell1,88%, aiutato anche da un favorevole andamento dei prezzi del petrolio.
Le trattative potrebbero in realtà durare a lungo: i 60 giorni previsti scadono il 23 ottobre. E le stesse dichiarazioni del premier kazako completano il quadro di un negoziato che potrebbe rivelarsi pieno di insidie. Secondo lagenzia Bloomberg Masimov avrebbe parlato di diarchia ai vertici del consorzio Kco, ma avrebbe anche detto di non eslcudere una rimozione tout court di Eni dal suo ruolo guida. Aggiungendo per di più che «per il momento le trattative sono amichevoli ma se le controparti non saranno daccordo con le nostre richieste abbiamo anche un piano B di cui parleremo più avanti».
Secondo lopinione generale concedere più potere a Kazmunaigaz non basterà a chiudere la vicenda. Il nodo centrale resta infatti quello finanziario. Nei giorni scorsi dal Kazakistan erano arrivate ipotesi di una richiesta di danni intorno ai 10 miliardi, legate ai ritardi nellentrata in funzione dei giacimenti del Mar Caspio. Nei giorni scorsi il governo di Astana aveva detto che nella giornata di oggi i danni sarebbero stati più precisamente dettagliati. Secondo i calcoli diffusi dal governo di Astana lo slittamento dello sfruttamento dei pozzi dal 2005 al 2010 comporta un incremento dei costi da 57 a 136 miliardi di euro.
A sbrogliare la matassa, oltre al numero uno di Eni Paolo Scaroni (continuano i preparativi per la sua visita) potrebbero contribuire anche contatti diretti tra i due governi.
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