
Sicuramente l'anatomopatologo belga Philippe Boxho non avrebbe mai immaginato di vendere più di un milione di copie con il suo primo libro intitolato La parola ai morti (Ponte alle Grazie) in cui racconta «dal vero» la sua esperienza di medico legale.
Philippe Boxho è preciso e meticoloso nei suoi racconti, come ha dimostrato qualche sera fa all'Istituto di Cultura francese a Milano, dove ha raccontato il suo mestiere con calma e simpatia. Per far capire meglio qual è l'atteggiamento da avere sulla scena del crimine ha deciso di proiettare una foto capace di sconvolgere l'uditorio: il primo piano del cranio di un uomo che si è sparato in testa. Poco alla volta, Philippe Boxho ha spiegato i dettagli della foto: la posizione della mano, il foro di entrata proiettile, il rinculo della pistola, l'identità della vittima...
Una cosa è certa: La parola ai morti, in cui l'autore parla di veri casi che gli si sono presentati negli anni, fra autopsie, putrefazione, larve, corpi decomposti, è un libro ricco di aneddoti e svela tante cose sul mondo delle autopsie e dei referti forensi. Una professione che da tempo affascina gli spettatori in serie tv come Quincy, CSI, Dexter, Grey's Anatomy e Bones, ma anche i lettori dei romanzi di Patricia Cornwell e Kathy Reichs. «In tv - racconta Boxho - le anatomopatologhe sono tutte bellissime, affascinanti, superdotate mentre i medici legali appaiono come goffi, poco attraenti». Le cose nella realtà non sono esattamente così. Come spiega bene Philippe Boxho, per i medici la visione dei corpi e della morte è qualcosa di speciale. Fa parte della loro professione, ma non li rende per questo speciali. «Vivo una vita tranquilla, dipendo solo dalle chiamate puntuali del mio telefono che mette in azione le mie giornate. Ho una buona alimentazione e può capitare anche che io mangi sul lavoro, non ho problemi se succede. L'unica cosa sulla quale non sgarro mai è il consumo di alcolici, non ne bevo mai, non voglio rischiare di perdere lucidità». E dovendo spiegare perché ha realizzato un libro così specifico sul suo lavoro chiarisce che durante le sue giornate prende sempre appunti sui casi di cui si occupa, lo fa man mano che analizza i corpi, anche davanti agli studenti. «Il libro è nato dal desiderio di raccontare la vita di un medico legale attraverso i suoi trent'anni di attività. Se pensate di conoscere questa professione attraverso serie tv e romanzi polizieschi, sappiate che sono poco realistiche. Ho scelto di presentarvi situazioni che appartengono alla pratica forense e ho raccontato i suicidi più fantasiosi, gli omicidi mascherati da incidenti, gli accesi dibattiti in corte d'assise e alcune insolite scene legate a particolari sinistri».
Tutte le storie che Boxho ha raccolto sono vere.
«Del resto, non c'è bisogno di ricorrere alla fiction: la realtà è sufficiente, tanto è selvaggia l'immaginazione umana quando si tratta di morire, uccidere o far sparire un corpo». E una cosa alla quale i medici legali non si potranno mai abituare, così come neanche le persone comuni, è l'odore della morte, quello della putrefazione dei corpi».
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