
L'ultimo romanzo di Pietro Grossi, Qualcuno di noi (Mondadori, 517 pagg., 22 euro) si dispiega sotto il segno della scissione e delle personalità multiple. Il protagonista, infatti, non riesce a dire io, preferendovi lo schermo di un noi che lo accompagna costantemente, anche nei momenti di solitudine. Il titolo, dunque, non ha niente di conradiano l'one of us di Lord Jim né allude all'appartenenza ad un gruppo. Seguiamo il rampollo di una famiglia toscana benestante dall'infanzia alla maturità attraverso un percorso costellato di strappi, derive ed episodi di perdizione tenuti assieme da alcuni fili: a cominciare dal sospetto che immaginare dei fattoidi li trasformi in realtà.
L'inclinazione per la mitomania si affaccia già a nove anni quando un dolore inesistente all'addome, utile per giustificare «la quantità di attenzioni e tre giorni di assenza da scuola», conduce a una vera operazione chirurgica di appendicite, con tanto di appendice infiammata mostrata al giovanissimo paziente dopo l'intervento. La famiglia, che ha ascendenze americane ed è legata nientemeno che al nonno dello scrittore William Burroughs, inventore di un calcolatore meccanico di grande successo, assiste allarmata alla crescita di un ragazzo dalla testa calda cui il benessere materiale permette di gestire l'inquietudine nelle maniere più varie: i lunghi viaggi all'estero, per esempio, ma anche le arti marziali (con esplosioni di violenza belluina fuori delle palestre, censurati da un giudice e da un processo), la sperimentazione delle droghe o la passione per la vela, cui Grossi dedica le pagine forse più belle del romanzo. Autobiografia scottante e provocatoria smagliata in un caleidoscopio di esperienze di volta in volta avventurose, patetiche, eroiche, Qualcuno di noi trasmette un'idea di dispersione e contemporaneamente di resistenza.
Solo la vocazione per la scrittura, suffragata dalle prime prove letterarie ben accolte e resa ancora più concreta da un corso alla scuola Holden, sebbene ostacolata da un mondo intellettuale coriaceo e non sempre disposto a riconoscere senza mezzi termini il talento dell'autore, sembra garantire una tenuta esistenziale e porre un freno all'egocentrismo moltiplicato dal prisma delle numerose sotto-personalità che, con formula efficace, mirano alla cabina di comando del sé.
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