Di Pietro non vuole mollare: pronti 1.500 emendamenti

Laura Cesaretti

da Roma

Una rissa in Consiglio dei ministri, con Di Pietro di nuovo all’attacco del Guardasigilli Mastella (spalleggiato da Rutelli e D’Alema), questa volta sul ddl per regolamentare le intercettazioni telefoniche, che è stato bloccato. E poi un «colloquio chiarificatore» tra il premier e il ministro delle Infrastrutture, che negli ultimi giorni ha fatto saltare i nervi all’Unione.
Di «colloquio chiarificatore» ce ne era già stato uno, mercoledì scorso, e poi l’ex pm aveva continuato a fare esattamente quel che gli pareva. E questa volta è stato lo stesso, se non peggio: il leader dell’Italia dei Valori ha fatto ugualmente saltare il patto sottoscritto coi capigruppo dell’Unione, cui il suo partito aveva assicurato una «quantità ragionevole» di emendamenti all’indulto, che da ieri è all’esame del Senato, e ha investito Palazzo Madama con una valanga ostruzionistica di 1576 proposte di modifica. E d’altronde non si capisce perché, solo per una ramanzina di Prodi, Di Pietro dovrebbe rinunciare alla visibilità che gli garantisce la sua campagna anti-indulto, e ai consensi che raccoglie nella pancia forcaiola della sinistra (e della destra). Tanto più che né il premier né il resto del centrosinistra hanno alcuna arma per costringerlo a più miti consigli, in una maggioranza dove anche il voto dell’ultimo trozkista è esiziale. Dunque quello che il capogruppo dell’Ulivo Franceschini definisce «il problema politico Di Pietro» è destinato a restare irrisolto a lungo.
Mastella (cui l’ex pm invidia a morte la poltrona di ministro della Giustizia) difende il proprio territorio e ironizza sull’impegno ministeriale del collega: «Ognuno ha il suo cantiere, io mi occupo di quello carcerario e spero che Di Pietro si occupi di quello della Salerno-Reggio Calabria, per risolverne gli annosi problemi». In verità, il ministro delle Infrastrutture di tutto si occupa tranne che dei suoi cantieri: ieri ha messo sul proprio sito l’elenco dei proscritti (i 460 deputati che hanno votato per l’indulto), ha dato della «Banda Bassotti» all’intero Senato, impegnato nell’esame del testo, ha definito «ricattata» l’Unione e «ricattatrice» la Cdl, per l’intesa sul provvedimento.
I suoi colleghi di maggioranza, esasperati, gli hanno dato addosso come un sol uomo. «Impari la sobrietà», ha ammonito il ministro dei rapporti con il Parlamento Chiti. «Le sue affermazioni sono ridicole, non si permetta di ergersi a giudice della moralità altrui», attacca la capogruppo dell’Ulivo Anna Finocchiaro. «Non è più possibile tollerare l’irruenza e la sgradevolezza dei suoi interventi», inveisce il ds Calvi. Rifondazione attacca con Russo Spena: «Parole incivili e indegne». E Cesare Salvi, presidente ds della commissione Giustizia del Senato, che sta esaminando l’indulto, va giù durissimo: «C’è un ministro che sta attentando alle istituzioni», denuncia, inferocito per lo sgarro di Di Pietro sugli emendamenti.
A Palazzo Madama si fanno gli straordinari per approvare definitivamente l’indulto, perché «o va in porto ora o non va in porto più», dicono nell’Ulivo. Dunque ieri nottata in commissione Giustizia per l’esame del testo, e da oggi pomeriggio no-stop in aula, fino al voto conclusivo, che forse slitterà a domenica o lunedì. Il presidente del Senato Franco Marini ha dettato tempi strettissimi, consapevole che questa è l’ultima chance per far passare il provvedimento di clemenza e rendere più umane le infernali carceri italiane. E i numeri per farcela ci sono, a meno di incidenti, cui punta Idv. Lega e An non faranno ostruzionismo: «La Camera lo ha approvato, a questo punto si vada avanti», ha aperto l’ex Guardasigilli Castelli nella conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. E persino la rappresentante Pdci Emanuela Palermi si è detta favorevole all’approvazione, anche se alla Camera il suo partito si è astenuto.

Sulle barricate, con Di Pietro (che passerà il weekend in sit in davanti a Palazzo Madama), resta il suo anziano ex collega di Procura D’Ambrosio (ds), per il quale la clemenza è «pericolosa». Mentre un altro ex pm diessino, Casson, tradisce la causa delle manette: «In questa situazione drammatica per le carceri non si può dire no».

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