Pirellone La lunga battaglia dei ricorsi in tribunale e l’ombra del commissario

MilanoAssai poco politically correct, ma il leghista in Regione la spiegava così. «Sarebbero tutti da prendere a calci nel sedere, non si fanno raccogliere le firme agli inetti». Inetti o meno, la bufera è scoppiata. Perché una vicenda che sembrava chiusa dopo due sentenza del Tar si riapre di schianto. Quattordici indagati dalla Procura di Milano - tra consiglieri provinciali, comunali, e anche un sindaco - con l’accusa di falso ideologico in concorso con ignoti per aver raccolto e depositato in vista delle elezioni regionali del marzo scorso 770 sottoscrizioni ritenute false dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, una lunga lista di testimoni che hanno già messo nero su bianco che «quella firma non è mia», e il rischio - remoto, ma non infondato - che il governatore Roberto Formigoni debba un giorno lasciare a un commissario la poltrona che occupa ininterrottamente da 16 anni. Perché la partita dei ricorsi inaugurata dai Radicali non è conclusa, e gli ultimi sviluppi - l’indagine penale e il processo civile in corso - potrebbero influenzare la decisione del Consiglio di Stato, presso cui pende il secondo grado del giudizio amministrativo.
In sostanza, cosa può accadere al governo della Lombardia? Innanzitutto, vanno chiarite le responsabilità penali. In questo caso, a rispondere dell’accusa saranno solo quegli amministratori che hanno garantito la validità delle firme a supporto delle liste «Per la Lombardia» e «Popolo delle libertà», una certificazione che viene assimilata a un atto notarile. Nessuno dei quattordici, dunque, potrà dire di non conoscere l’origine di quelle sottoscrizioni perché - stabilisce la legge - quelle firme dovevano essere apposte in loro presenza. Da lunedì inizieranno a sfilare in Procura per essere interrogati dal magistrato e provare a convincerlo di non aver barato al tavolo elettorale. Non sarà facile, dato che Robledo - forte delle dichiarazioni di quasi 800 elettori che negano di aver mai prestato il proprio nome alla causa di Formigoni e del Pdl - sente di avere in mano «prove granitiche». In tutto questo, il governatore può dormire sonni tranquilli. Ma le conseguenze politiche dell’intera vicenda rischiano di turbare il cammino della legislatura lombarda.
Il 17 maggio, infatti, il Consiglio di Stato è chiamato a valutare in appello il ricorso dei Radicali bocciato con due sentenze dal Tar lombardo. La prima aveva respinto nel merito la denuncia sull’«irritualità» delle autentiche, ovvero su una serie di atti ritenuti non idoeni alla procedura elettorale. La seconda, quella sulla presunta falsità delle firme, era stata giudicata «irricevibile» perché presentata tardivamente. Ma il supremo organo amministrativo, a questo punto, potrebbe decidere di sospendere la decisione in attesa di conoscere la portata dei nuovi elementi fin qui emersi, per poi acquisirli. Da un lato gli atti dell’inchiesta penale, che tuttavia è soltanto agli inizi. Dall’altro quelli del processo civile (prossima udienza il 12 maggio), aperto per una querela di falso presentata sempre dai Radicali, e per il quale potrebbe essere decisiva la perizia calligrafica sulle firme che i giudici intendono chiedere. Nel momento in cui i due procedimenti dovessero approdare a un primo punto fermo, e in linea teorica, il Consiglio di Stato avrebbe due strade da seguire. La prima, ribadire quanto già deciso dal Tar della Lombardia, dichiarare esaurito il «gravame» e chiudere definitivamentre la pratica. La seconda, annullare le sentenze del tribunale amministrativo, il risultato del voto e la giunta ora in carica, aprendo così la strada all’insediamento di un commissario in attesa di nuove elezioni.
Uno scenario abbastanza remoto, anche e soprattutto in considerazione dei tempi necessari perché la macchina delle giustizia penale e civile arrivi a pronunciarsi, e quella amministrativa a mettere insieme i vari tasselli del mosaico fin qui sparsi su più fronti. Eppure, è un’incognita che si allunga sul governo di Formigoni. «Evitiamo di anticipare sentenze», spiegava ieri il presidente della Regione in un’intervista al Giornale. Nessuna intenzione di interrompere il quarto mandato.

Sempre che non sia la Corte d’appello civile di Milano a decidere per lui, il prossimo 10 maggio. Perché - non bastasse la questione legata alle firme - Formigoni dovrà affrontare l’ennesimo ricorso, ancora una volta seguito dai Radicali, proprio contro la quarta elezione consecutiva del governatore.

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