Poesia aziendale

È testimonianza storica la rassegna ideata e condotta al Teatro Massimo di Torino da Sergio Toffetti sul cinema d’impresa. Dal 1950 le maggiori aziende italiane (quindi anche Fiat, Ansaldo, Edison, Eni...) producevano documentari autocelebrativi. Il cinema era abbastanza suggestivo per ipotizzare la collaborazione fra le classi. Come la tv oggi. C’era continuità fra retaggio monarchico e contingenze in cui agiva la Dc: il riarmo non solo morale dell’Italia in ambito atlantico e la questione di Trieste.
Sul piano sociale, invece, chi poteva incarnare quella «terza posizione» - il modello peronista era all’apice - meglio di intellettuali cresciuti nei Littoriali e ormai pronti a mettere lo stesso slancio nell’edificare la società democratica?
Il documentario Incontro con l’Olivetti (1950) - incluso nella rassegna torinese - è esemplare. Lo scrive Franco Fortini, che pure nel 1948 s’era messo alla testa degli operai dell’Olivetti insorti per l’attentato a Togliatti; e lo dirige Giorgio Ferroni, già regista di Tombolo, paradiso nero (scritto da Indro Montanelli), ma soprattutto già direttore del cinegiornale della Repubblica Sociale.
Assumere oppositori, passati o no per la Resistenza, era generoso e utile. In cambio si aveva da loro sia un prodotto serio, sia la firma su una ricevuta. Non li si comprava: li si condizionava. Socialista dal piglio leninista, nel 1960 Fortini sfilava a Genova accanto a Pertini, che per temperamento gli somigliava, contro il congresso del Msi. Subito dopo Fortini scriveva il testo per il documentario All’armi, siam fascisti di Lino Dal Fra, Cecilia Mangini e Lino Micciché, anch’esso inserito nella rassegna torinese: un testo acuminato, da III Internazionale, non da vigilia del centro-sinistra. Eppure un testo da meditare.
Sempre nel 1960 era finita per Fortini la direzione della collana «Il Politecnico», che presso Einaudi aveva salvato il nome della rivista di Vittorini, che in quella bella impresa era affiancato proprio da Fortini. L’Italia s’era industrializzata nei precedenti trent’anni grazie alle guerre in serie, inclusa quella fredda, come non aveva fatto nei precedenti settanta di unità. Da marxista, Fortini doveva giudicare positivo quello sviluppo, perché solo il capitalismo maturo poteva sfociare nel comunismo, infine nella società senza classi. E questa speranza giustificava ampiamente il ricevere lo stipendio dalla Olivetti.
Non era l’unico intellettuale in tale contraddizione. Valentino Orsini - che aveva esordito accanto ai fratelli Taviani dirigendo Un uomo da bruciare, su un sindacalista siciliano assassinato - era di un massimalismo analogo a quello di Fortini. Esso lo isolava dal Pci, quando l’ultrasinistra era ancora un coagulo di sètte, non un fenomeno alla moda. Insomma, Orsini rischiava di non lavorare più per il cinema, neanche per quello da festival. Perciò nel 1965 accettò di girare per l’Italsider il documentario sulla Sopraelevata di Genova, Una strada d’acciaio, e nel 1968, per la Fiat, Progetto 128, inseriti nella rassegna torinese e scritti da Fortini, stavolta su suggerimento di Orsini. Progetto 128 apparve anonimo, ma dall’archivio Fiat è uscito il contratto a suo nome. Ma senza quella contaminazione nel 1970 Orsini non avrebbe realizzato Corbari e nel 1980 Uomini e no, tratto, guarda caso, dal romanzo di Vittorini.
Orsini è un autore minore? Bernardo Bertolucci no. Dopo Accattone e Mamma Roma, che lui ha girato e Pasolini firmato; dopo La commare secca, dove può finalmente mettere il suo nome, Bertolucci può girare Prima della rivoluzione.

Ci sarebbe riuscito senza il precedente contratto per il documentario dell’Eni, Le vie del petrolio (a giorni in dvd Feltrinelli)?
«I capitalisti ci venderanno anche la corda per impiccarli», previde Lenin. Alla pellicola per filmarli non aveva pensato.

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