Il poker al buio della riforma elettorale

Paolo Armaroli

Si può dire, senza tema di smentite, che il costituzionalista Giovanni Guzzetta ormai ha più confidenza con i referendum elettorali che con la propria moglie. Fu lui, anche se all'ultimo altri si misero in vetrina, a inventarsi il referendum manipolativo che nel 1993 mandò in larga misura in soffitta la proporzionale, introdusse il maggioritario a collegio uninominale e ci regalò il bipolarismo anche grazie alla discesa in campo di Silvio Berlusconi. Altrimenti si sarebbe giocato a una porta sola per chissà quanto tempo grazie alla gioiosa macchina da guerra di Occhetto. E adesso Guzzetta, con vario contorno di giuristi e uomini politici, concede il bis.
La settimana scorsa il comitato promotore si è presentato alla cancelleria della Corte di cassazione e ha depositato due quesiti referendari. Se verranno raccolte le prescritte cinquecentomila firme, la Consulta darà disco verde, alla votazione dei referendum nel 2008 avrà partecipato la maggioranza degli aventi diritto e sarà raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, il premio di maggioranza non andrà più alla coalizione vincente ma al partito che avrà ottenuto più voti. E non saranno più possibili le candidature multiple, che rimettono al capriccio degli alti papaveri di partito larga parte dei seggi parlamentari.
Se tutto andrà per il verso giusto, ma non è affatto scontato, dovremmo fare un altro passo avanti e passare dal bipolarismo al bipartitismo. Come dire, il paradiso in terra.
L'attuale legge elettorale, a parole, è ormai la classica figlia di nessuno. Il suo babbo vero o presunto, il leghista Calderoli, l'ha definita una porcata per colpa della quale, quando si dice l'eterogenesi dei fini, la Casa delle libertà probabilmente ha perso le elezioni. E non piace al centrosinistra perché non è farina del suo sacco. Ancorché la legge ricalchi quella della Regione Toscana, che fece andare in brodo di giuggiole i Ds. I quali, more solito, hanno il complesso di re Mida e sono convinti che tutto quello che toccano si trasforma in oro. Fatto sta che nessun partito finora si è preso la briga di bussare al Parlamento per cambiarla. E così il professor Guzzetta, che non chiedeva di meglio, ha indossato i panni di Kinglax. Ma sì, quel lassativo degli anni Trenta la cui pubblicità suonava così: «Mentre tu dormi, Kinglax lavora». E che la Buonanima, sospettoso com'era, proibì perché temeva i doppi sensi e che alludesse proprio a lui.
Nel grande sonno dei partiti, Guzzetta Kinglax ha lavorato bene. Risvegliatisi dal letargo, molti partiti hanno battuto un colpo e si sono seduti al tavolo da gioco referendario. Nel comitato referendario, infatti, c'è un po' di tutto. Non solo esponenti delle maggiori formazioni politiche di maggioranza e di opposizione ma perfino un ministro, Parisi, fedelissimo di Prodi. Chi più chi meno, un po' tutti hanno preso sul serio Guzzetta. Intende vestire i panni di Kinglax? Molto bene. Dal momento che la vox populi può giocare brutti scherzi, non diciamo di no ai referendum elettorali. Purché, ecco, siano semplicemente uno stimolo. Per l'appunto, un Kinglax per il Parlamento. Che dovrà mettere nero su bianco, rendendo inutili i referendum.
Ma qui il cane si morde la coda. Si possono mandare a gambe all'aria i referendum solo a patto che le Camere approvino una legge che risponda ai quesiti referendari. Tuttavia una legge siffatta può spalancare le porte al Partito democratico caro a Prodi ma anche indurre i partiti minori del centrosinistra, che ne farebbero le spese, a sbalzare di sella il presidente del Consiglio.

Può darci l'alternanza al potere ma anche penalizzare un centrodestra i cui elettori hanno premiato finora più i singoli partiti che la Casa delle libertà e i cui leader non potrebbero più avere un effetto di trascinamento grazie alle candidature multiple. La partita di poker è appena cominciata e nessuno può dire come finirà. Può capitare di tutto. Anche nulla. Perché, sotto sotto, questa legge fa comodo a molti.
paoloarmaroli@tin.it

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