Mano pesante del governo ecuadoregno dopo la sfida lanciata dai narcotrafficanti, che ha messo a ferro e fuoco il Paese. In carcere 329 sospetti terroristi, mentre cinque di loro sono rimasti uccisi durante gli scontri. Il bilancio lo ha comunicato Jaime Vela, capo del comando congiunto delle forze armate. Dietro le sbarre componenti di tre diverse bande: Tiguerones, Lobos e Choneros. Catturati 28 detenuti che erano riusciti a scappare da diverse prigioni. Sono 125 le guardie penitenziarie (più 14 dipendenti amministrativi) tenuti ostaggio in cinque carceri del Paese. L'esercito, fa sapere, non intende negoziare in alcun modo.
Il presidente, Daniel Noboa, ostenta tranquillità, basandosi sul sostegno unanime del Parlamento alla legge di emergenza varata dal governo: ''Il Paese è unito'' e per questo ''usciremo vincitori da questo conflitto''. Lo ha detto in un breve videomessaggio pubblicato dopo che il Parlamento ha votato (all'unanimità) il decreto che riconosce un conflitto armato interno e prevede l'intervento delle Forze armate per neutralizzare i gruppi terroristici. L'unità di intenti viene sbandierata da Noboa: ''Il sostegno dei cittadini e dei partiti politici è fondamentale per uscire dall'oscurità e avere giorni migliori per tutti. Cedere al male, mai; combattere instancabilmente, sempre''. Ma per qualcuno Noboa non è stato, in questo delicatob frangente, così forte e deciso come tenta di far credere. Questo perché, sostanzialmente, si è affidato esclusivamente all'esercito.
In Ecuador c'è preoccupazione, ovviamente. I giornali parlano di un "golpe de estado por narcos" (un tentativo di colpo di stato dei narcotrafficanti), come del resto hanno scritto tutti i giornali nel mondo. La capitale Quito è sotto choc per i massacri avvenuti dopo i violenti scontri tra le bande armate e l’esercito. La cosa soprendente è che, diversamente da altre volte, il tentato assalto alle istituzioni è partito non per volontà dell'esercito (secondo il più classico degli schemi golpisti) ma a seguito di due evasioni dal carcere che hanno visto protagonisti i leader delle bande di narcos che controllano, con le armi e la violenza (e un'ingente quantità di soldi) alcune zone del Paese: Adolfo Macías (noto come Fito), a capo dei Choneros, e Fabricio Colón Pico, capo della banda dei Los Lobos. Si sono dati alla fuga insieme a circa cinquanta complici. È stata evasione in massa a tutti gli effetti, una sfida dei narcotrafficanti al governo, che col nuovo corso varato di recente dal presidente ha promesso lotta dura contro i criminali della droga.
L’Ecuador, stretto tra Perù e Colombia, da anni è un paese cruciale per il traffico internazionale di cocaina. I gruppi criminali sono legati a due potenti cartelli messicani, portando la droga nel Nord America e in tutto il mondo. Le carceri, piene di membri delle bande criminali, paradossalmente si sono trasformate in "cabine di regia" per le operazioni dei narcotrafficanti, e il governo ha letteralmente perso il controllo di alcune di esse.
In un Paese nel caos anche la stampa è nel mirino dei criminali. Ne è prova l'assalto allo studio di TC Televisión a Guayaquil.
Mariella Toranzos, collaboratrice del Diario Expreso, ha riferito che, nell'ambito della maxi operazione "Metastasis" che ha portato alla luce l'obiettivo dei narcos di infiltrarsi nei gangli dello Stato, da alcuni scambi via chat sarebbe emerso che i criminali parlavano di come eliminare alcuni giornalisti considerati "scomodi", quelli impegnati nel denunciare la corruzione di politici, giudici e poliziotti. E drammaticamente non vi sarebbero protocolli per garantire la sicurezza di chi lavora garantendo l'informazione libera nel Paese.
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