La "marcia delle donne" a favore dell'aborto. E sui migranti la linea dura dei repubblicani

Onda rosa contro i divieti cuore della campagna di Harris. Per il tycoon decisiva la proposta di respingere gli irregolari

La "marcia delle donne" a favore dell'aborto. E sui migranti la linea dura dei repubblicani
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«Un voto per Trump è un voto contro di noi», le donne, ha avvertito Michelle Obama, per incitare gli americani a scegliere Kamala Harris. In attesa dell'esito delle presidenziali, dopo una storica notte elettorale, la domanda resta aperta: oltre all'economia, a fare la differenza sarà la lotta per i diritti, come quello all'aborto che Donald Trump tanto ha contribuito a limitare? Oppure a prevalere sarà il tema sicurezza, che Trump ha declinato in funzione anti-migranti? Mai come in questa tornata elettorale il voto maschile e femminile si prospetta così diviso. Per Michelle Obama, che con Barack ha lanciato la volata a Kamala ergendosi a paladina delle donne, «un voto per Trump è un voto contro la nostra salute, contro il nostro lavoro». L'aborto è stato un cavallo di battaglia in casa democratica dopo la sentenza della Corte Suprema che due anni fa ha annullato la storica sentenza Roe vs Wade e abolito il diritto costituzionale all'interruzione di gravidanza. Sulla decisione ha pesato inevitabilmente la posizione dei tre giudici conservatori scelti da Trump.

Negli Usa sono ormai 13 gli Stati che prevedono un divieto totale, anche in caso di pericolo di vita per la madre. In 28 sono previste limitazioni temporali. E non a caso gran parte dei 147 referendum che si sono svolti in 41 Stati in concomitanza con l'Election day hanno riguardato proprio aborto e diritti riproduttivi, sui quali la candidata dem ha battuto per tutta la campagna elettorale, sperando di mobilitare la base come George Bush nel 2004 con i referendum contro i matrimoni gay.

Consapevole del rischio di inimicarsi le elettrici, Trump ha garantito che se sarà eletto non introdurrà mai un bando federale, dunque valido per tutta la nazione. Il tycoon preferisce che siano i singoli Stati a deliberare in autonomia. Ma è evidente che, con il tycoon alla Casa Bianca, l'onda delle restrizioni monterebbe, così come quella delle fortissime contestazioni dei movimenti femministi, allargando il divario ed estendendo la radicalizzazione.

Capitolo a parte sono i migranti. Trump ha promesso di mobilitare esercito e guardia nazionale per sigillare il confine con il Messico, di usare i militari per espellere 11 milioni di migranti senza documenti, ha minacciato la pena di morte per gli immigrati che uccidono cittadini statunitensi e annunciato di voler ripristinare la politica dello «stay in Mexico» che prevede di tenere i migranti nel Paese centramericano mentre attendono le udienze per l'asilo. Per marcare la differenza con Joe Biden, il tycoon ha anche promesso di voler sequestrare i beni di gang criminali e cartelli della droga «per compensare e risarcire le vittime della criminalità dei migranti». Il leader repubblicano lo ha ripetuto come un mantra: l'epoca dell'invasione di immigrati provocata dalla «grossolana incompetenza» di Kamala Harris dovrà finire. È lo stop a quella che Trump definisce la «politica delle frontiere aperte». «Coloro che attraversano i nostri confini illegalmente saranno arrestati, espulsi e non potranno rientrare per cinque anni».

Per rassicurare gli elettori sensibili al richiamo sicurezza-immigrazione, anche Kamala Harris ha promesso che la sua «massima priorità» sarà investire risorse per garantire la sicurezza del confine con il Messico.

Non saranno dunque certamente «porte aperte», come vuole far credere il rivale repubblicano ma è evidente che la retorica democratica si guarda bene dal dipingere i migranti come nemici del Paese. Quale delle due Americhe la spunterà, si scoprirà in queste ore. Stavolta, it's not only the economy, baby, potrebbe non essere solo l'economia a decidere i giochi.

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