75 anni dopo la fondazione della Nato si torna alla casella di partenza, ma con una guerra «calda» nel cuore dell’Europa, non più fredda come allora. E uno scontro geopolitico globale fra l’Est, allargato alla Cina, e l’Ovest che ci impone la scelta già fatta nel 1949, a fianco del mondo libero. Nonostante un Occidente acciaccato, con lo Zio Sam in crisi, la democrazia che mostra la sua fragilità e le storture del politicamente corretto. Il nuovo ordine mondiale è un fritto misto che va dalla Grande Russia del nuovo Zar, all’emulo di Mao a Pechino fino agli utili scudieri come il dittatore nucleare della Corea del Nord e gli ayatollah iraniani, che ideologicamente non hanno nulla a che fare con questa combriccola.
Il ritorno al passato è l’annuncio del dispiegamento in Germania dal 2026 di missili a lungo raggio. I ricordi vanno agli euromissili della guerra fredda, ma allora si trattava di testate nucleari, i Pershing americani, contro gli SS 20 sovietici in nome di quell’ equilibrio del terrore, con tanto di mutua distruzione assicurata, che non ha mai fatto tirare il grilletto dell’Armageddon.
Verso la fine della guerra fredda, Reagan e Gorbaciov, firmarono un trattato che eliminava questi missili dall’Europa, ma nel 2019 gli americani hanno accusato i russi di avere schierato gli Iskander nell’enclave di Kaliningrad facendo andare in fumo il patto. Al summit di Washington i ministri della Difesa di Roma, Berlino, Varsavia e Francia sono andati più in là firmando una lettera di intenti per un sistema di deterrenza che comprenderà anche armi ipersoniche, come quelle utilizzate dai russi in Ucraina, con una gittata «significativamente più lunga rispetto agli attuali missili con base terrestre in Europa». Mossa ardita, ma necessaria di fronte alla nuova guerra non più solo fredda.
Negli anni Settanta e Ottanta i pacifinti di mezza Europa, compresa Comiso, scesero in piazza con grandi manifestazioni, che erano infiltrate e pilotate da agenti di influenza del Kgb soprattutto nella Germania Ovest. Il rischio è che si torni a mobilitazioni del genere grazie al volano di personaggi pro pace, più o meno consapevoli di venire manipolati dai russi nel contesto di una guerra ibrida già iniziata in Europa.
Al posto del muro di Berlino è risorto, dopo l’invasione dell’Ucraina, un muro nel Donbass, invisibile, se non per il carnaio delle trincee, ma ben più alto. La posta in gioco è lo spostamento dell’asse geopolitico, ma anche economico, da Ovest a Est con russi e cinesi pronti a dare battaglia alla Nato anche se non ancora in termini militari. Il «cammino irreversibile» di Kiev verso l’Alleanza atlantica, messo nero su bianco a Washington, viene recepito dal Cremlino come una minaccia immanente.
Però c’è sempre tempo per sparigliare le carte e Donald Trump, che si sente già presidente, ha dimostrato di essere abilissimo a farlo in un battibaleno come nella partita afghana. L’Ucraina, però, non deve subire lo stesso copione della Caporetto di Kabul e il mondo libero non può soccombere di fronte all’orso russo e il dragone cinese.
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