Perché questo pareggio fa bene agli Stati Uniti

Lotta all'inflazione e diritti spingono i Dem. Gop frenato dai candidati radicali. Ora il Paese può trovare equilibrio

Perché questo pareggio fa bene agli Stati Uniti

I repubblicani hanno vinto ma hanno anche perso. Biden ha perso ma ha anche vinto. Una contraddizione, ma solo per chi pensa che la democrazia, e quella americana, funzioni come una partita in cui è escluso il pareggio. Mentre il «pareggio», è uno dei punti di forza degli Usa, che escono rafforzati da queste elezioni. Ma anche indeboliti, tanto per restare nella contraddizione - il mondo del resto contraddittorio lo è.

Ma prima vediamo quali fattori abbiano condotto alla non vittoria dei repubblicani e di Trump in particolare, che si aspettavano un'onda rossa, il colore del Grand Old Party.
L'economia conta sempre, e anche se gli Usa sono usciti infiacchiti dalla pandemia e dall'inflazione, il piano Biden, osteggiato dai repubblicani in quanto «socialista», evidentemente ha soddisfatto gli americani. Anche perché i candidati trumpiani del Gop alla fine proponevano pure loro una sorta di «socialismo»: allora, meglio sempre l'originale della copia.

Il secondo fattore è il tema dei diritti, e in particolare dell'aborto. L'essersi presentato il Gop, o almeno molti suoi candidati, come il partito pronto a mettere fuori legge l'interruzione di gravidanza a livello federale, ha provocato, per la nota legge che ogni azione estrema produce una reazione altrettanto estrema, lo spostamento di voti anche moderati sui democratici.
Il terzo fattore è quello T: cioè Trump. È vero che non tutti gli sconfitti sono trumpiani, ma lo sono quelli su cui l'ex presidente ha puntato maggiormente, mentre i suoi grandi avversari all'interno del partito repubblicano sono stati riconfermati alla grande. Insomma, non pare che Trump abbia occupato il cuore degli elettori repubblicani, a parte quelli più radicalizzati ed estremisti. Però a molti moderati i repubblicani sono apparsi come il partito di Trump tout court, e ovviamente Biden (e Obama) hanno avuto buon gioco a farlo credere.

Trump è amato dalla destra radicale dei repubblicani ma spaventa non solo le sinistre, anche i moderati. Del resto, su di lui pesa l'ombra del 6 gennaio, che non è stato uno scandaletto sessuale ma un evento che ha ferito nel profondo la democrazia americana. Il problema è proprio Trump, non le sue idee, peraltro molto generiche e approssimative. La dimostrazione: il governatore della Florida, Ron DeSantis ha stravinto, eppure quest' ultimo è assai più «reazionario» dell'ex presidente, che l'ha giustamente definito bigotto. Eppure De Santis non incute paura, neppure agli elettori democratici moderati, perché è istituzionale, sa governare, non pare un leader improvvisato: tutti elementi che, invece, sono mancati a Trump nella sua presidenza. Eppure, se si tenessero primarie domani tra i repubblicani, è probabile che Trump vincerebbe su DeSantis.

Per questo la democrazia americana esce indebolita da queste elezioni. Il limite dei repubblicani è di possedere un leader impresentabile, che piace più alla base che al gruppo dirigente, senza il quale avrebbero stravinto, invece di non vincere. Quello dei democratici è di avere un capo resiliente, Biden, ma di 82 anni.

La possibilità di una disfida Trump-Biden è quanto mai catastrofica. Ma, dicevamo, la democrazia americana esce anche rafforzata.

Perché ora, con questo risultato, Biden non potrà continuare nel programma para socialista previsto e al tempo stesso i repubblicani saranno costretti a moderarsi. È il cosiddetto «governo diviso», che ha quasi sempre caratterizzato la storia americana: un paese che non si fida a lasciare troppo potere nelle mani di un uomo solo. Per questo, una grande nazione.

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