
Era il settembre 1899 quando il segretario di Stato americano John Hay inviò alle grandi potenze presenti in Cina una nota, che chiedeva che la spartizione della Cina fra i grandi non producesse discriminazioni nel commercio con Pechino e all’interno della Cina stessa. Riluttanti, Regno Unito, Francia, Russia, Giappone e Germani firmarono. Poco dopo, questo afflato americano si scontrò contro la dura realtà della rivolta dei Boxer: fu quello il momento di una seconda nota, nella quale invitare al rispetto dell'“integrità territoriale e amministrativa della Cina". Sebbene il giudizio degli storici sia ancora oggi tutt’altro che unanime su queste scelte, le evidenze mostrano che la open door policy riuscì a tutelare gli interessi americani, con la firma del presidente repubblicano William McKinley.
Alle origini della Politica della Porta Aperta
L’esperimento fu più che interessante, perché al di là delle spiegazioni messianiche circa la prosecuzione del destino manifesto nel Celeste Impero, la scelta sembrò il giusto calmiere tra imperialismo e anti-imperialismo, due anime che convivevano a Washington affatto pacificamente. Tuttavia, quel tentativo mostrava una convinzione dilagante nelle stanze del potere: la diplomazia commerciale poteva molto più che quella ideologica, con tanto di corollari “civilizzatori” sulle nazioni con un diverso grado di sviluppo. Non è un caso che, qualche anno prima, Josiah Strong, pastore protestante, divenne l’autore del testo “sacro” della politica della Porta aperta: Our Country: Its Possible Future and Its Present Crisis (1885), fu uno dei testi più influenti della visione espansionista americana con una base morale e religiosa. Sosteneva che gli americani fossero scelti da Dio per civilizzare il mondo, ma vedeva i cinesi non solo come destinatari della “verità”, ma anche come un popolo dignitoso e potenzialmente affine, da educare più che da sottomettere. E se non bastasse, William A. P. Martin, missionario protestante e sinologo, vissuto a lungo in Cina, fu uno dei principali promotori dell'idea che la cultura cinese fosse compatibile con i valori cristiani e occidentali. Il suo The Chinese: Their Education, Philosophy and Letters esaltava la moralità del Confucianesimo, paragonandola al Cristianesimo protestante, e vedeva i cinesi come un popolo educato, riflessivo e spiritualmente ricettivo.
Politica commerciale o paternalismo?
Gli Stati Uniti, pur essendo una nazione giovane, si vedevano come eredi di grandi ideali morali e democratici (libertà, giustizia, autodeterminazione). Alcuni intellettuali americani vedevano nella cultura confuciana cinese valori simili: enfasi sulla famiglia, sull’educazione e sull’ordine sociale, grande rispetto per l’autorità morale, l’etica e la disciplina personale. A questo si aggiungeva l’idea di una civiltà antica ma "pura": un impero millenario che non aveva colonizzato altri, proprio come gli Stati Uniti si vedevano come una nazione anti-imperialista. Entrambe le culture erano viste — dagli americani — come in qualche modo “non corrotte” rispetto all’Europa. Non solo, ma negli anni dell’imperialismo d’acciaio europeo, molti americani vedevano la Cina come vittima di soprusi stranieri, proprio come gli Stati Uniti lo erano stati nel Settecento con la Gran Bretagna. Questo rafforzava l’idea di un'affinità: due nazioni che volevano indipendenza e rispetto, ma che si trovavano in contesti di forza molto diversi. La costruzione di un "Altro" simile finì per essere una grande tentazione commerciale: va detto però che questa somiglianza era costruita più dagli americani che reale, serviva anche a giustificare l’intervento in Cina non come dominio, ma come “aiuto fraterno”. Era un modo per rafforzare la narrativa secondo cui gli Stati Uniti erano portatori di progresso, non di conquista. Un mantello sotto al quale si nascondeva della filosofia, mescolata a dinamiche di potere e paternalismo tout court.
Dalla parsimonia cinese alla guerra dei dazi
La cultura dell’epoca apprezzava la tendenza alla parsimonia cinese, assieme alle sue radici profonde, ben anteriori alla modernità: il Confucianesimo valorizzava la sobrietà, la disciplina personale e l’autocontrollo. L’instabilità politica e l’assenza di sistemi di welfare spingevano le famiglie a mettere da parte il più possibile, per far fronte a malattie, carestie, o guerre. Il sistema bancario era poco sviluppato, quindi il risparmio avveniva in forma di beni durevoli, metalli preziosi o reti familiari. Tuttavia, tutto ciò era visto dagli occidentali più come tratto culturale o etnografico, e non come fattore economico strategico. Quando gli Stati Uniti promossero la Porta Aperta nel 1899, l’interesse era rivolto all’accesso al mercato cinese come sbocco per le esportazioni, non tanto per le capacità di spesa o risparmio della popolazione: gli americani si immaginavano una Cina popolosa e potenzialmente ricca come un’enorme base di consumatori da "attivare", ma sottovalutavano i limiti reali di potere d’acquisto.
Quella propensione al risparmio, cento anni dopo, è in qualche modo legata al conflitto commerciale attuale. La Cina ha storicamente mantenuto un tasso di risparmio molto elevato, con una media nazionale che ha raggiunto il 48% del PIL tra il 2000 e il 2008, rispetto al 15% degli Stati Uniti nello stesso periodo. Questa tendenza ha portato a un elevato tasso di risparmio nazionale, contribuendo a un surplus commerciale della Cina. Negli anni 2000, gli Stati Uniti hanno beneficiato di questo surplus attraverso l'importazione di beni cinesi a basso costo e il finanziamento del proprio debito pubblico mediante l'acquisto di titoli del Tesoro da parte della Cina. Tuttavia, questa dinamica ha generato una serie di squilibri, con gli Stati Uniti che hanno accumulato via via deficit commerciali significativi e il Dragone che si è gonfiato a dismisura, incamminandosi sulla Nuova Via della Seta.
Fino a quando la crescente allergia americana nel continuare a fungere da "consumatore di ultima istanza" ha evidenziato la necessità di riequilibrare le relazioni economiche globali una volta per tutte. Il resto è storia di questi giorni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.