Un Parlamento che di fatto non riconosce l'autorità di una Procura che lui stesso ha costituito. È questo l'inverosimile scenario su cui si svolge l'ultima puntata del Qatargate, l'inchiesta che - dopo la retata del 9 dicembre - ha messo sotto accusa la rete di corruzione che ruotava intorno all'ex deputato italiano Antonio Panzeri. Protagonista della nuova puntata è Eva Kaili, la socialista greca che fino al momento dell'arresto in flagrante ricopriva la carica di vicepresidente dell'europarlamento. La Kaili è tutt'ora in carcere, accusata di corruzione dalla procura di Bruxelles dopo la scoperta di 700mila euro in contanti nel suo appartamento nella capitale belga, ricevuti secondo l'accusa in cambio dell'appoggio ai regimi sponsorizzati da Panzeri. Ora si apprende che contro di lei pesa anche un'altra accusa: avere barato sull'utilizzo dei fondi per il pagamento degli assistenti. Di mezzo ci sono i 21mila euro che ogni mese il deputato può gestire per il suo staff: staff che per la Kaili comprendeva per un periodo anche il suo compagno Francesco Giorgi, ora anche lui in carcere. Ed è proprio questa seconda accusa a rischiare di incagliarsi davanti alla surreale situazione dei rapporti tra il Parlamento europeo e la Procura europea, l'ufficio inquirente sovranazionale che proprio l'Europa ha voluto creare. E cui l'assemblea di Strasburgo si è finora dimenticata di permettere di incriminare i suoi componenti.
Ad accusare la Kaili di malversazione sui contributi è proprio la Procura europea, in sigla Eppo, ufficialmente operativa dal giugno dello scorso anno. Nei confronti della parlamentare e della sua collega Maria Spiraki (anche lei greca, ma dell'eurogruppo dei Popolari) gli inquirenti hanno inviato una richiesta di revoca dell'immunità parlamentare in modo da poter procedere penalmente nei loro confronti. La Kaili infatti attualmente è in carcere solo perché arrestata in flagrante, mentre suo padre portava i soldi fuori dall'appartamento, e in questo caso l'immunità decade, ma solo per l'indagine della procura belga. Alla Eppo per andare avanti contro di lei e la Spiraki serve il via libera del Parlamento. Il problema, come riferito ieri dal quotidiano belga Le Soir, è che nei regolamenti dell'assemblea di Strasburgo non si fa alcun cenno alla Procura europea, l'immunità può essere revocata solo su richiesta «di un'autorità nazionale competente». Per inquisire la Kaili anche per la gestione dei rimborsi sarà necessario che nella sua prima seduta plenaria dopo le feste, fissata per lunedi prossimo, il Parlamento modifichi il suo regolamento inserendo la Eppo tra le autorità abilitate a chiedere la revoca dell'immunità. Ma in quel caso i difensori della giovane parlamentare potrebbero sostenere che la modifica non può essere attuata retroattivamente.
Un pasticcio che forse verrà in qualche modo risolto ma che la dice lunga sulla superficialità con cui il Parlamento europeo, fino all'esplosione dello scandalo del Qatargate, aveva affrontato il tema della legalità al suo interno. Se è vero che la Procura europea è entrata in funzione solo sette mesi fa, il voto del Parlamento che la istituisce risale al 5 ottobre 2017: oltre cinque anni in cui nessuno si è preoccupato di modificare il regolamento sulle autorizzazioni a procedere.
É anche per scrollare di dosso questa immagine che la presidente Roberta Metsola punta a gestire velocemente almeno l'altra richiesta di revoca dell'immunità, quella avanzata dai pm di Bruxelles nell'ambito del Qatargate contro il belga Marc Tarabella e l'italiano Andrea Cozzolino. L'accusa per i due è di corruzione in quanto parte del «sistema Panzeri», e senza l'ok di Strasburgo non possono venire indagati nè arrestati.
Il 16 gennaio la Metsola annuncerà ufficialmente la richiesta di autorizzazione, poi passerà la pratica alla commissione giuridica. Ma per il voto finale si rischia di attendere la sessione successiva, prevista per il 12 febbraio. Un lungo mese di attesa che la Metsola sta cercando in ogni modo di accorciare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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