Alle Europee di inizio giugno mancano ancora dieci mesi buoni, ma ormai da molte settimane tutti o quasi i vertici delle istituzioni comunitarie si muovono in funzione del prossimo appuntamento elettorale. Da cui dipenderanno i nuovi equilibri all'interno del Parlamento Ue, ma anche la nomina dei prossimi presidenti di Commissione e Consiglio europeo. Così, quando il tedesco Manfred Weber ribadisce le sue condizioni per un dialogo tra i Popolari e le destre europee lo fa sì in chiave interna, ma anche guardando al voto che verrà. Il presidente del Ppe, infatti, parla al tv tedesca Zdf e si rivolge soprattutto a chi in Germania assiste con preoccupazione alla crescita dell'estrema destra di Alternative für Deutschland. Anche perché in patria, sia nella Cdu che nella bavarese Csu, sono in molti a ritenere che Weber stia tenendo una linea eccessivamente accondiscendente verse le destre. Così, il leader del Ppe spiega che «chi vuole dialogare con i Popolari» deve rispettare tre condizioni: «Sostenere l'Ucraina, contribuire a costruire l'Ue e non volerla abolire, accettare lo stato di diritto». Puntualizzazione rivolta ad Afd e ai francesi del Rassemblement national.
Fatta questa premessa, però, Weber ci tiene a dire che non vuole chiudere la porta a tutti. E spiega che «sarebbe un errore mettere sullo stesso piano Afd e Giorgia Meloni». Non a caso, a Bruxelles sia l'ultra destra tedesca che i francesi di Marine Le Pen militano nel gruppo di Identità e democrazia, mentre Fratelli d'Italia fa parte della famiglia dei Conservatori (di cui la premier è peraltro presidente). Meloni, dice il presidente del Ppe, «è rispettata e accettata a livello internazionale, ha sostenuto il trattato di Lisbona e il patto migratorio» e «vuole plasmare l'Europa». Insomma, pur precisando che «la premier e Fdi devono dimostrare nei prossimi mesi di essere a fianco dell'Ue», è evidente che Weber è ben disponibile al dialogo. Sul quale, d'altra parte, si sta spendendo da mesi, anche con l'aiuto di Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri. Il segretario di Forza Italia, peraltro, è da tempo ai vertici del Ppe e proprio con Weber ha una lunga consuetudine. «Condivido le sue parole sul rapporto del Ppe con Meloni, guida dei Conservatori. Nuovi equilibri nelle istituzioni Ue con forze convintamente europeiste rappresentano - ha detto Tajani - una prospettiva importante».
In verità, però, difficilmente le elezioni di giugno potranno ribaltare il quadro. Ad oggi, infatti, anche le proiezioni più ottimistiche tendono ad escludere che un'eventuale maggioranza Ppe-Ecr possa essere autonoma. E le elezioni politiche previste in autunno in Olanda (il 22 novembre) e Polonia non dovrebbero cambiare il quadro. Certo, la partita di Varsavia è delicata per gli equilibri tra Ppe e Ecr. Il premier Mateusz Morawiecki è uno dei leader del Pis, partito di destra ultraconservatrice che con i suoi 24 eurodeputati è la delegazione più corposa dentro Ecr. E se i sondaggi danno il Pis di Jaroslaw Kaczynski in testa, subito a seguire c'è la Coalizione civica (che aderisce al Ppe) dell'ex presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk. Con l'incognita della rincorsa a destra di Confederazione (Konfederacja), partito ultraconservatore radicale. Insomma, se la vittoria del Pis non pare in discussione, il rischio è che possa non bastare. Non un dettaglio considerando che Kaczynski (Ecr) e Tusk (Ppe) si detestano cordialmente. E che la Polonia è comunque il quinto Paese dell'Ue in quanto a numero di abitanti (e quindi di europarlamentari).
È per tutte queste ragioni che, ad oggi, l'ipotesi più probabile resta quella di un'eventuale convergenza di Fdi (o di una parte di Ecr) quando si arriverà a
votare il successore di Ursula von der Leyen (o la sua riconferma). Anche perché, sedendo a Palazzo Chigi, Meloni non ha alcun interesse a non essere al tavolo dove si deciderà il prossimo presidente della Commissione Ue.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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